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lunedì 24 aprile 2023

L’Italia è nata male

“In questo periodo l’Italia si trova in una condizione triste e pericolosa. Tutti sono spaventati dalle funeste certezze dell’oggi e dalle ancor a più temibili incertezze del domani”. Oggi nel 1866. Ma è solo la prima di endemiche “condizioni tristi e pericolose”.
I clericali sono “una classe permanente”. Una sorta di casta, ma continuamente rinnovata: “Questa casta ha una storia e tradizioni tutte italiane, e perfino un patriottismo tutto suo”. La borghesia è “la consorteria”, un comitato d’affari. “Lo Stato italiano è disastroso e disastrato”, nel 1871: “Si mantiene a stento solo schiacciando il paese sotto le imposte e quel tanto di ricchezza che rimane a quest’ultimo serve per foraggiare la consorteria”. Le guerre del 1859 non sono d’indipendenza ma “dinastiche”. “In tutte le statistiche del felice Regno d’Italia due dati spiccano con una semplicità e un’eloquenza strordinarie: Popolazione, circa 25 milioni; Contribuenti delle imposte: circa 2 milioni”. Il Sud fiducioso è stato tradito, da Garibaldi – grandezza e debolezza di Garibaldi. In brevi note molte verità sono scoperte. Caprera in un paio di pagine è la sceneggiatura di un film di ore – un film verità.
Bakunin passa in Italia, che gira e mobilita, tre anni, dal 1864 al 867. Ci giunge “dopo una fuga rocambolesca dalla Siberia”, dov’era confinato. E dopo la fuga si converte presto e si dedica al socialismo rivoluzionario. Ha cinquant’anni. Non ha più denti. Appena entrato in Italia rende omaggio a Garibaldi, a Caprera, per tre giorni. Poi visita Firenze. Rimarrà prevalentemente a Napoli. Dove diviserà di tornare a vivere poco prima della morte nel 1876 - vivrà a Napoli la vedova, con le figlie, le quali faranno parte consistente dell’alta borghesia e degli studi accademici in città.
Lorenzo Pezzica, l’archivista dell’anarchia, che ha recuperato gli articoli e le lettere sull’Italia e li presenta, propone Bakunin come “filosofo politico, storico, osservatore e interprete della realtà”. Filosofo no, non sembra, non qui. Ma capiva quello che vedeva, in Italia per lo meno. Fin dal primo articolo, del 1866, che individua il malessere dell’Italia risorgimentale, in particolare del Mezzogiorno. L’unità monarchica è come un tappo messo alle attese, dall’impegno dei giovani carbonari del 1830 alla rivoluzione del 1848, popolare e repubblicana, cioè rivoluzionaria. Sulla spinta di Mazzini – di un Mazzini lontano da quello che Bakunin aveva conosciuto a Londra, messianico. Il disegno unitario è diventato politico e diplomatico, di furberie e disegni di conquista. La scelta delle lettere documenta la debolezza, anzi l’evanescenza, della sinistra democratica (mazziniana, garibaldina) subito dopo l’unità.
Prose piane, che non infiammano. E ripetitive. Ma veridiche - purtroppo trascurate dalla storiografia. Con un affascinante paratesto. Bakunin arriva in Italia, e al socialismo, che ha cinquant’anni. E non ha più denti. Inseguito dalla nomea di spia, diffusa a Parigi dall’ambasciatore russo per screditarlo – quante smentite non dovrà promuovere, la più risentita di George Sand. Gigantesco, “un mastodonte” per Herzen, “un manso” per Marx. Che gli fece una guerra costante, fino a infangarlo, anche lui, come “spia del panslavismo”, dello zar di Russia.- Marx di cui Bakunin aveva tradotto il primo libro del “Capitale”, come sempre entusiasta. La “fuga rocambolesca” dalla Siberia era in realtà la decisione di tornare all’attività politica, sul solco ora, a 48 anni, del socialismo rivoluzionario – al confino era protetto dalla famiglia influente. E l’Italia era un po’ nel suo destino: il padre aveva studiato a Padova, e poi aveva lavorato presso i consolati russi a Firenze, Napoli e Torino.
Michail Bakunin, Viaggio in Italia, eléuthera, pp. 172 € 16  

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