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lunedì 24 luglio 2023

Mente avventurosa di novantenne

I popoli e le civiltà  perdurano. Come ci sono terreni instabili geologicamente, “in maniera simile si comportano, da un punto di vista geomantico, quelle regioni in cui il mito non si è ancora raffreddato…. Se ci recassimo a perlustrare questi luoghi con un apparecchio simile a un contatore Geiger, potremmo rilevare potenti eruzioni. I terreni migliori sono quelli in cui dominarono popoli che, come i Celti, gli Etruschi e gli Aztechi, sono certamente scomparsi da un punto di vista politico, e tuttavia continuano ad abitare quelle terre. E poi ancora l’Asia minore, prima di Alessandro, e addrittura prima di Erodoto. Alicarnasso, il Libano con il sangue di Adone, l’antica Persia” – non l’Italia, non Roma. 
Novello Antonio nella Tebaide, alle prese con lo spirito del tempo, il vecchissimo Jünger s’invola giovanile, disinvolto, per una serie di riflessioni occasionali, in forma di aforismi, poi via via concatenate, e dunque anche logiche (filosofiche), nel mondo come è – come appare e come quindi sarà. Con lo stesso passo sicuro con cui, quasi un secolo prima, aveva individuato il tempo del “lavoratore”, dell’applicazione pratica, tecnica. Il futuro naturalmente è in immagine, ma il vecchio-giovane saggio ne ha le chiavi, sa come leggere l’immaginazione.
“Da tempo ormai abiamo superato 1984 di Orwell”. “I successi economici e politici accelerano l’appiattimento, mentre il giro degli affari ne trae benefici”. “Ciascuna nazione ha il proprlo Eracle. Nessuo lo ha mai visto, tutti ne hanno sentito parlare”. “Lo stato d’animo diffuso nel mondo, come non potrebbe essere altrimenti a fine secolo, appare contraddittorio ed inestricabile: ora prometeico…. ora catastrofico”. Il repertorio è molto vario.
La “forbice” è quella di Atropo, che taglia\non taglia i fili della vita. Che ha un suo corso anche sotterraneo, e prosegue “oltre”. Un cammino non immaginario, fondato sui miti e documentato, aumentato, dall’imaginazione – che sa andare oltre l’apparenza.
Con una postfazione di Quirino Principe,  che situa l’opera nella vita (l’opera è per lo più del 1987, quando Jünger aveva 92 anni) e nella riflessione, inesausta. Principe richiama gli ansloghi viaggi “fantastici” di Borges e di Chesterston (“Orthodoxy”), ma in Jünger è diverso, il vagare apparente è scientifico, seppure di frontiera, di spazi estremi o poco frequentati. Qui specialmente intraprendente: lancia la palla lontano, come una fantasia tra il bizzarro e il confuso, e poi, dipanando il filo senza tagli di forbice, traccia un cammino sicuro, condivisibile. E senza pesantezze – quanto remoto dal suo amico Heidegger.
Ernst Jünger, La forbice, Guanda, pp. 203 € 18

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