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venerdì 28 luglio 2023

L’ecatombe dei cristiani in terra d’islam

Secondo il Genocide Watch, nei diciotto mesi dal gennaio 2021 al giugno 2022, almeno 7.600 cristiani sono stati uccisi dagli islamisti in Nigeria, e almeno 5.200 sequestrati. Ogni anno l’osservatorio registra da un quindicennio più di 400 attacchi a chiese, scuole, opere sociali cristiane. Secondo la Croce Rossa Internazionale la metà delle 40 mila persone date per scomparse in Africa nell’ultimo decennio è vittima della violenza islamista, con assassinii e rapimenti.

È una piccola porzione dei cristiani uccisi nei paesi islamici, dal Pakistan al Senegal. E fa seguto all’islamizzzine massiccia dell’Africa sub sahariana. Favorita e organizzata da cinquant’anni a questa parte dai potentati della penisola arabica, Arabia Saudita, Emirati e Qatar (con la polemica eccezione del Kuwait e dell’Oman), con i petrodollari, l’improvvisa ricchzza di cui questi principati sono stati locupletati col rincaro del petrolio nel 1973. Fino ad allora la Nigeria era federalista anche in senso eeligioso. Cristiana nell’ex Biafra, l’area di Sud-Est, animista nella vasta area centrale Yoruba, e islamica negli emirati di Kano e Kaduna al Nord – di un islam feudale, di masse sottoposte alle nuvole bianche degli emiri nelle loro galoppate per i feudi, con corteggio di cavalieri.

Già nel 1974 la “discesa dell’islam” poteva così venire spiegata ai vertici dell’Eni, che presenziavano all’inaugurazione di nuovi impianti petroliferi nell’ex Biafra, nel romanzo di Astolfo,  “La morte è giovane”, di prossima pubblicazione:

 

Siamo qui con le autorità civili e religiose, con i giornalisti, col cerimoniale di un’inaugurazione che è già avvenuta da tempo, per rimuovere. La guerra è finita, e forse non molti sanno che c’è stata, comunque nessuno si ricorda che ci furono dei morti, benche numerosi, dieci italiani massacrati nel sonno e un giordano, più diciotto ostaggi, quattordici italiani e quattro arabi. Il Grande Progetto è localmente rilanciare il Biafra, ossia la Nigeria cristiana, con un’offensiva civile dopo la guerra, poiché è in Biafra che si trova il petrolio della Nigeria. Ma è rimasto non detto, i mussulmani hanno già occupato i capisaldi. Sono scesi dal Nord non con le armi ma con i soldi dello stesso petrolio, più veloci, e munifici:

- L’islam è mondano, e i poveri amano i ricchi - spiega il vescovo anglicano al Presidente, gli occhi lampeggiando celestiali sull’incarnato delle guance, che lo zuccotto e la mantellina accendono:- La maestà vuole i suoi simboli. Dicono che l’islam si espande sulle gambe dei credenti, consolante sarebbe la fede semplice. Ma la religione deve segnalarsi, la povertà respinge. - Il Presidente borbotta, l’inglese avendo precario, e sta di tre quarti, per invitare i collaboratori a interloquire con le nasalità dell’anglicano. Non si sa che dire a un vescovo, a uno bianco in Africa, anzi roseo. Ma è vero che l’islam è religione politica, fa le leggi e cura la rappresentanza: l’islam scende con marmi, sete, campi di polo, cavalli, frustini, e il saldo presidio maschile, coi soldi sauditi del petrolio.

Il colonialismo lo sapeva, che fu soprattutto espansivo in campo gentilizio. Per la superfetazione della storia in forma di tradizione, e la fabbrica dei nobili. Ci sono esempi nell’esercito, la scuola, lo sport, per l’epica della caccia e la guerra, e nel terziario. Il trafficante ci tiene, e l’ufficiale, il funzionario, il giudice, l’agricoltore - il medico e l’ingegnere no, che si applicano, né il negoziante, che è greco, asiatico, ebreo, ed è concreto, il commercio è genere faticativo, ingrato. Lo scoprirono con gioia gli stessi socialisti quarantottardi o comunardi, deportati in Algeria o al Capo: divenuti agricoltori si atteggiarono a gentiluomini di campagna. Tutti nobili gli africani dopo le colonie, è il lascito più durevole: pochi stimano la libertà, l’autostima dei lavoratori. L’invenzione della tradizione vi fu fertile, degli anziani contro i giovani, gli uomini contro le donne, una tribù contro l’altra, e c’è un pedigree pure per gli ascari.

Gli inglesi, cui venne naturale identificare tribù e aristocrazia, nelle colonie non hanno portato i loro sport popolari, non il rugby, dove gli africani sarebbero imprendibili, né il calcio, che giocherebbero con e-leganza, o la boxe, hanno invece sancito e diffuso il cricket, il golf e il polo. La loro indirect rule non era truffaldina, non del tutto, ma una proiezione dello spirito eletto, di apertura se non di utopia, non c’è forse scrittore inglese dopo Shakespeare, da Aphra Benn in poi, che non sia stato coloniale – mentre non ci sono colonie nel grande romanzo francese, con l’eccezione di Ourika della riluttante Claire de Duras, l’amica di Chateaubriand. L’emiro di Kano e Kaduna manda al Sud cavalli arabi e crea club chiusi, su prati di erba smeraldina, tra i pantani e la polvere. Ci sono così due Afriche, nel rapporto con l’Europa. La colonizzazione è stata la stessa, ma il risentimento è diverso: gli africani condividono, col linguaggio, l’umanità degli europei, ma quando l’islam arriva subentra la riserva mentale. La stessa del Nord Africa e il Medio Oriente, una rivalsa che osteggia l’amicizia. È sempre la crociata per l’unico Dio. Oppure gli arabi, come i tedeschi, sono risentiti per non avere ancora vinto la guerra.

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