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mercoledì 7 maggio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (592)

Giuseppe Leuzzi
“1,7 milioni le imprese attive nel Mezzogiorno a fine 2024. Pari a un terzo del totale nazionale”. Giusto: un terzo della popolazione, un terzo delle “imprese” in Camera di Commercio. Quanto fatturato non si dice – un decimo, anche meno.
L’ingegno non manca, né l’iniziativa. Mancano i capitali, il contesto (la storia), la rete, produttiva e commerciale. E lo Stato, comprese le Regioni: sicurezza, burocrazia, promozione.
 
“Le superragazze di Conegliano, loro anche la Champions del volley: le venete hanno vinto anche scudetto, Coppa Italia, Supercopa e Mondiale”. Una squadra che non ha nulla di Veneto, solo i soldi: tutte straniere. Uniche due italiane Monica De Cescenzo, Sorrento, e Cristina Chirichella, Napoli.
 
Si ordina un hamburger, da consegnare a 25 km. di distanza, con un rider, per 3,20 euro lordi, 50 km. andata e ritorno. Senza vergogna. Succede a Portoguraro e non fa scandalo.
 
Prestipino e De Gennaro, grandi carriere sul fronte antimafia, vanno sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Un reato di cui chiunque può essere gravato, all’umore del più piccolo Procuratore della Repubblica, anche solo per averne scritto o scherzato su. Per un’opera, il Ponte sullo Stretto, al di sopra di ogni mafia, essendo solo in mente Dei – sotto forma di Salvini.
Anche se – Scarpinato, 5 Stelle – c’è pure un “Dio mafioso”. Dalle stelle si vedrà meglio.
 
Gaetano Livrea, rettore a Messina, 1975-1983, il primo dopo il rettore a vita Pugliatti, giurista, musicologo, letterato, amico di Quasimodo e di La Pira, si cita per aver rifiutato la laurea honoris causa a Sciascia, con questa motivazione: “Il grado di elevatezza intellettuale, morale e artistico-letteraria di Sciascia, è tale che da un simile riconoscimento nessuna convenienza o beneficio, nell’ambito spirituale, potrà ricavarne la di Lui superiore personalità”.
Che è molto “meridionale”, lo humour bizzarro. Ma Livrea era triestino.
 
Se la libertà viene dal Sud, con le “masse”
L’idea libertaria dell’Italia, socialista, repubblicana, matura al Sud, anzi in Calabria. Nelle “masse” contadine del 1799 che fanno la guerra per gli usi civici, per le terre comuni. Nel “moto insurrezionale” del 1844 “a Cosenza, e il sacrificio dei fratelli Bandiera, che sperarono di abbattere i Borboni partendo dalla Calabria”, G. Galasso, “Calabria, paese e gente difficile”, 79 – “l’impresa doveva riuscire a Garibaldi partendo dalla Sicilia sedici anni dopo”.  E, si può aggiungere, ebbe l’ultimo sfogo con l’occupazione delle terre in Calabria, tra il 1945 e il 1949.
In un lungo saggio del 1984, contributo agli scritti in memoria di Francesco Compagna, “Vecchi e nuovi termini della questione meridionale” (ora ripubblicato in “Calabria, paese e gente difficile”), Giuseppe Galasso dà una diversa lettura anche del movimento massista del cardinale Ruffo nel 1799 – che pure portò alla caduta della Repubblica giacobina a Napoli. Al § “Jacquerie, banditismo, emarginazione”, lo storico ricorda che “la lotta del potere costituito contro i banditi esige a volte vere e proprie campagne,” militari e di opinione. Ma, ha già premesso, “il banditismo esprime il disagio di una civiltà contadina polarizzata da tensioni violentissime e senza possibilità di mediazione”.
In Calabria, dove il banditismo “fu uno dei più violenti”, “all’epoca di Masaniello” e nel 1799 “le masse contadine calabresi fecero il loro grande, ultimo sforzo per estirpare gli abusi del regime feudale, e per ripristinare ed ampliare la sfera dei diritti delle comunità”. È in questa ottica che paradossalmente nel 1799 i contadini delle “bande del cardinale Ruffo, che insorsero contro i Francesi e la Repubblica Napoletana”, con particolare ferocia, in Calabria e a Napoli, “si mossero a sostegno della posizione feudale e lottarono duramente contro i «patrioti» giacobini, che sostenevano la soppressione del feudalesimo”. La ragione era la stessa che nel 1647-48, delle rivolte di Masaniello.
Lo storico, che ha indagato i due movimenti, sa il perché dell’apparente contraddizione: “Tra l’atteggiamento contadino del 1647-48 e quello del 1799 corre una profonda analogia. In entrambi i casi i contadini lottarono, infatti, per gli usi civici, per le terre comuni, per i diritti assicurati alle popolazioni nel quadro del regime esistente. Ai tempi d Masaniello la lotta era stata soprattutto contro le usurpazioni feudali. Nel 1979 faceva paura l’affermazione incondizionata del principio della proprietà privata della terra, che avrebbe privato le comunità rurali e i loro membri dei complementi indispensabili alle loro magre economie familiari. Nei «borghesi» e nei non pochi «aristocratici» che si erano schierati per la Repubblica e per l’abolizione del feudalesimo i contadini vedevano i pericolosi demolitori delle poche garanzie tradizionali del loro stato di cui avessero nozione”.
Sia nel 1647-48 che nel 1799 essi si batterono, inoltre, per un alleviamento del carico fiscale del quale erano pesantemente gravati, e la materiale impossibilità in cui si trovò la Repubblica di fare alcunché al riguardo decise in gran parte il loro atteggiamento”.

Si potrebbe anche risalire a due secoli prima di Masaniello. Nel secondo Quattrocento Alfonso d’Aragona, Alfonso V poi I, suo figlio Ferdinando I, detto Ferrante, e poi, dopo il flagello Carlo VIII, il secondo figlio di “don Ferrante”, Federico I, per fiaccare la feudalità, oltre a invitare nel Regni i combattenti albanesi, crearono una robusta rete di Comuni demaniali. Subito dopo la congiura dei baroni quasi tutti i paesi ottennero in Calabria la demanialità. Durò poco, nel primo Cinquecento Ferdinando III, smaltita la paura, si riprese quasi tutte le concessioni. Ma incontrò forti resistenze, quasi ovunque, specie a Santa Severina, Catanzaro, Monteleone (Vibo Valentia), Stilo.

Il “massismo”, si direbbe con altro linguaggio, fu una rivolta di classe.    
(continua)


Intellettuali siciliani
Erano poca cosa al tempo di Gramsci in carcere, un secolo fa, poco meno. Questa la nota (raccolta ne “Gli intellettuali”) che li concerne:
“Intellettuali siciliani. Rivalità fra Palermo e Catania per contendersi il primato intellettuale dell'isola. – Catania chiamata l’Atene siciliana, anzi la «sicula Atene». – Celebrità di Catania: Domenico Tempio, poeta licenzioso, la cui attività viene dopo il terremoto del 1693 che distrusse Catania (Antonio Prestinenza collega il tono licenzioso del poeta al fatto del terremoto: morte – vita– distruzione – fecondità). – Vincenzo Bellini, contrapposto al Tempio per la sua melanconia romantica. Mario Rapisardi è la gloria moderna di Catania. Garibaldi gli scrive: «All’avanguardia del progresso noi vi seguiremo» e Victor Hugo: «Vous êtes un précurseur». – Rapisardi-Garibaldi Victor Hugo. – Polemica Carducci-Rapisardi. – Rapisardi-De Felice (il primo maggio De Felice conduceva il corteo sotto il portone di Rapisardi). – Popolarismo socialista mescolato col culto superstizioso di Sant’Agata: quando Rapisardi in punto di morte si volle che rientrasse nella Chiesa: «Tal visse Argante e tal morí qual visse» disse Rapisardi. – Accanto al Rapisardi: Verga, Capuana, De Roberto, che però non considerati «sicilianissimi», anche perché legati alle correnti continentali e amici del Carducci – Catania e l’Abruzzo nella letteratura italiana dell'Ottocento.
L’ultima frase è curiosa, ma si sa che Gramsci sa sempre di cosa parla. Rapisardi che mopolizza tutto è la Sicilia. Verga, Capuana, De Roberto?
Manca Pirandello. Perché autore romano, internazionale? Ma scriveva, commedie e novelle, anche in siciliano. Perché si era solennemente iscritto al fascismo all’assassinio di Matteotti?
 
Vedi Napoli e poi muori
Un (doppio) errore materiale in Giuseppe Galasso, “Calabria, paese e gente difficile”, p. 135 (“si ricordi sempre Creuzé de Lasseur, che ancora nel 1906 proclamava: «L’Europa finisce a Napoli, e vi finisce anche assai male»”) riporta alla memoria un viaggiatore di cui s’è persa la traccia, che a suo tempo fu una sorta di gemello in tutto, se non un esempio, di Stendhal, carriera amministrativa (modesta) con Napoleone compresa. Autore anche lui di un “Viaggio d’Italia e Sicilia” – che fu il motivo della sua precoce disgrazia presso Napoleone, il quale per Napoli progettava un regno familiare, il primo. L’unico “Viaggio in Italia” che non si ripubblica, anche se a lui si deve il leitmotiv della futura “questione meridionale”: “L’Europa finisce a Napoli, e vi finisce anche assai male. La Calabria, la Sicilia, tutto il resto è Africa”. 
Auguste Creuzé de Lesser era stato segretario di legazione a Parma, ed era deputato quando fece il viaggio. Fu cacciato dall’amministrazione quando pubblicò il “Viaggio”, e riemerse con la Restaurazione, prefetto e poi barone. Nell’intervallo visse agiatamente con le commedie, di cui fu prolifico.
Che c’entra Stendhal? Era un italianofilo, anche lui. Poeta nella vena di Giovenale e di Alessandro Tassoni – che imitò e tradusse. Autore di romanzi in versi – sui cavalieri della Tavola Rotonda (il primo, “La Table Ronde”, è di 50 mila versi). Soprattutto fertile autore di teatro, l’invidia di Stendhal.
Il ritratto che ne fa il Larousse, tratto da “un contemporaneo”, è molto lusinghiero: “Questo amabile scrittore, nota un contemporaneo, ha ottenuto e conservò sempre un nome onorevole. Una giocondità piena di franchezza e di vivacità, una originalità non meno vera, uno spirito indipendente e piccante insieme, che non polemizza mai sulla parola altrui, ciò che gli inglesi chiamano humour, una semplicità forse troppo spesso trascurata, ma ancora più spesso elegante e graziosa, questi i tratti caratteristici del suo talento, e questo talento sa spesso anche elevarsi a belle e felici ispirazioni”.
Un autoritratto? Ma è dimenticato, bisogna dire, anche in Francia. Il Sud non porta bene -  Stendhal se l’inventò, doveva scriverne epr guadagnare ma si tenne a distanza, e poco.
 
La Calabria d’un fiato
Fenomenale sintesi della Calabria, a ogni riguardo esatta, fa Ulderico Nisticò, grecista di Soverato, , in “Controstoria della Calabria”, 41. Nell’anno Mille, quando si configurava, come oggi:
“La nostra terra ha preso ormai il nome di Calabria, e nessuno più ricorda né Elleni né Bruzi, e tantomeno i remotissimi Itali, Enotri e Siculi. È una terra del tutto nuova, e vi si aggiungono soldati e coloni da ogni luogo dell’impero (bizantino, n.d.r.); ma anche da ogni luogo musulmano e del Mediterraneo.
“Quanto alla lingua, quella greca bizantina è ufficiale e veicolare, e da questa derivano, con molti termini, le strutture del dialetto della Calabria meridionale; ma non mancano sacche di latinità e, secondo il Rohlfs, di grecità classica; mentre proprio l’espansione verso Nord, e l’aver compreso tra i confini del catepanato anche le genti di lingua latina della Puglia e della Basilicata, favoriscono la penetrazione di questa lingua, ormai il volgare, nei territori di più antica grecità”.
 
Cronache della differenza: Puglia
“Ariano di Puglia è un paese di Lucania che tiene ancora d’Irpinia, vale a dire della Campania” - Antonio Baldini, “L’Italia di Bonincontro”. Oggi è Ariano Irpino – dal 1930, dopo la divertita incursione che vi fece lo scrittore. Ma era nei secoli Ariano di Puglia.
 
Ancora Baldini su Ariano: “Il garibaldino Antonio Binda, di passaggio per Ariano, annotava: «Non so se si debba all’aria finissima o alle sue eccellenti acque la floridezza e robustezza di queste ragazze, ché, anche le più civili, di 14 anni al petto pronunciatissimo si giudicherebbero di 19 o 20 almeno”.
 
Ariano di Puglia e d’Irpinia vive tutta nella memoria di un suo P.P.P. monumenti, strade, scuole. Di Pietro Paolo Parzanese, di memoria evidentemente grata – anche se la sua poesia, secondo il malizioso Baldini, “s’impigliò nelle scuole elementari, non giunse mai al popolo”.

Fu a lungo Langobardia, con capitale Bari – per due secoli, a cavaliere del Mille. Con un territorio esteso a tutta la Puglia, compreso il Salento. Fatto noto ma che si trascura. Dall’876, quando Bari, indebolita dalle guerre fra potentati longobardi, chiese l’aiuto di Otranto, contro i Saraceni. Otranto si unì a Bari, e il gastaldo longobardo di Bari prese a governare giurando fedeltà all’imperatore bizantino – protetto dalle truppe imperiali, tra esse i mercenari variaghi, altra tribù germanica.

 
Era la Puglia dei miracoli già un secolo fa, quando Baldini vi fece il sul viaggio. Padre Pio già famoso anche se giovane - ma fortissimamente muto. Un sindacalista monco che dà i numeri del lotto - Italia impazzita.  E i preti: il “prete pugliese” Baldini trova speciale, garantito nella sua libertà, di pensiero e di costumi, dalla marginalità: “trascurato da tutti i regimi passati…nel Risorgimento il prete pugliese poté essere schiettamente liberale e la sottana non dargli fastidi”.
Per liberale Baldini intende massone.
 
“Per via di Foggia”. A San Giovani Rotondo Baldini va a conoscere padre Pio, giovanissimo. “Gli dicemmo che venivo da Roma via Foggia. Quel nome di Roma non parve interessarlo affatto”. “Da Foggia? Quanto tempo ci avete messo?” - è l’unica frase che il giovane frate, riservatissimo, dirà.
Si riproduce il “per via di Foggia” delle reclute che si smarrivano con la “bassa” militare. Per tornare a casa in licenza o al congedo, da Napoli, da Roma, da Casarsa, capitava che facessero il giro largo - se sbagliavano treno dovevano sempre andare avanti, non potevano tornare indietro.  “Foggia” come una Finisterre, in capo al mondo.
 
“Ricordo che Cavour nel 1847”, si legge in Giuseppe Galasso, “Calabria, pase e gente difficile”, 111, “calcolava il valore di tutte le esportazioni dall’Italia «considerata come un solo Paese» in 500 milioni di lire piemontesi, di cui 300 dovuti alla seta, quasi tutta del Nord, e 100 all’olio, quasi tutto meridionale”. E aggiunge: “Ma si sa pure che il grande centro oleario napoletano era in Puglia,  dove il porto di Gallipoli costituiva il polo di esportazione di quel prodotto, richiestissimo anche per   uso industriale, come per il sapone di Marsiglia”.
 
La Puglia fa tuttora, con la Calabria, oltre i due terzi dell’olio d’oliva prodotto in Italia, con le coltivazioni e le rese più pregiate, e la quasi totalità delle esportazioni. M la fiera dell’Olio Evo, “Olio Capitale”, si tiene a Trieste. 
 
Bari un tempo era un polo fieristico – la Milano del Sud. Ancora a fine Novecento si proponeva come la “piattaforma” italiana, europea, verso la ricchissima penisola arabica – dove l’affare più piccolo sarà poi di miliardi. Ora punta sul turismo. Sulle navi da crociera, sul piccolo commercio.
 
La Puglia è la prima regione in Italia per la produzione di elettricità fa fonte eolica e la seconda da pannelli solari. Un business ricco, anche se per pochi. Ma da massimo “consumo del territorio”. Meglio le rendite dell’applicazione, anche se a un costo per gli altri, per tutti?
Di solito questi “investimenti” in rendite pubbliche si giustificano con l’occupazione, che però in questi settori non c’è.
 
Con “Gerri” sono una dozzina le serie tv ambientate in Puglia. Con gran risalto di bellezze naturali, anche dei corpi, e se c’ un delitto senza la cupola mafiosa. Dopo la Sicilia, location predestinata per vari motivi (scrittori, storia, monumenti, tradizione tardoottocentesca del Gran Turismo, a Taormina, Siracusa, Palermo). Un’estensione del “modulo hawaiano”, dell’economia vacanziera?  
 
Avviandosi la Puglia sulle orme della Sicilia, monumenti-spiagge-cucina, si tentò di gravarla di una quarta mafia, spentosi il contrabbando. Ma non ci sono riusciti.
 
leuzzi@antiit.eu

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