In discussione oggi, anche se l’internazionalismo è morto da un secolo, con Stalin, per il dilagare in Occidente come già in Oriente (India, Cina, lo stesso Giappone) del sovranismo, il nazionalismo, l’analisi del nazionalismo, non ha fatto passi avanti da quello che Gramsci in carcere ne scriveva nel 1930 circa (vi si introducono dei capoversi per facilitarne la lettura):
“[Nazionalismo e particolarismo.] Julien Benda. Un suo articolo nelle
«Nouvelles Littéraires» del 2 novembre 1929: Comment un écrivain sert-il l’universel?
è un corollario del libro «Il tradimento degli intellettuali». Accenna a un’opera
recente, «Esprit und Geïst» del Wechssler, in cui si cerca di dimostrare la
nazionalità del pensiero e di spiegare che il Geist tedesco è ben diverso dall’esprit
francese; invita i tedeschi a non dimenticare questo particolarismo del loro
cervello e tuttavia pensa di lavorare all’unione dei popoli in virtú di un
pensiero di André Gide, secondo cui si serve meglio l’interesse generale quanto
piú si è particolari.
“Il Benda ricorda il manifesto dei 54 scrittori francesi pubblicato nel
«Figaro» del 19 luglio 1919, «Manifeste du parti de l’Intelligence» in cui si
diceva: «N’est-ce pas en se nationalisant qu’une littérature prend une
signification plus universelle, un intérêt plus humainement général?». Per il
Benda è giusto che l’universale si serve meglio quanto piú si è particolari. Ma
una cosa è essere particolari, altra cosa predicare il particolarismo. Qui è l’equivoco
del nazionalismo, che in base a questo equivoco pretende spesso di essere il
vero universalista, il vero pacifista. Nazionale, cioè, è diverso da
nazionalista. Goethe era «nazionale» tedesco, Stendhal «nazionale» francese, ma
né l’uno né l’altro nazionalista.
“Un’idea non è efficace se non è espressa in qualche modo,
artisticamente, cioè particolarmente. Ma uno spirito è particolare in quanto
nazionale? La nazionalità è una particolarità primaria; ma il grande scrittore
si particolarizza ancora tra i suoi connazionali e questa seconda
«particolarità» non è il prolungamento della prima. Renan, in quanto Renan non
è affatto una conseguenza necessaria dello spirito francese; egli è, per
rapporto a questo spirito, un evento originale, arbitrario, imprevedibile (come
dice Bergson). E tuttavia Renan resta francese, come l’uomo, pur essendo uomo,
rimane un mammifero; ma il suo valore, come per l’uomo, è appunto nella sua
differenza dal gruppo donde è nato. Ciò appunto non vogliono i nazionalisti,
per i quali il valore dei grandi intellettuali, dei maestri, consiste nella
loro somiglianza con lo spirito del loro gruppo, nella loro fedeltà, nella loro
puntualità ad esprimere questo spirito (che d’altronde viene definito come lo
spirito dei grandi intellettuali, dei maestri per cui si finisce sempre con
l'aver ragione).
“Perché tanti scrittori moderni ci tengono tanto all’«anima nazionale»
che dicono di rappresentare? È utile, per chi non ha personalità, decretare che
l’essenziale è di essere nazionali. Max Nordau scrive di un tale che esclamò:
«Dite che io non sono niente. Ebbene: sono pur qualche cosa: sono un
contemporaneo!». Cosí molti dicono di essere scrittori francesissimi ecc. (in
questo modo si costituisce una gerarchia e una organizzazione di fatto e questo
è l’essenziale di tutta la quistione: il Benda, come il Croce, esamina la
quistione degli intellettuali astraendo dalla situazione di classe degli
intellettuali stessi e dalla loro funzione, che si è venuta precisando con l’enorme
diffusione del libro e della stampa periodica). Ma se questa posizione è
spiegabile per i mediocri, come spiegarla nelle grandi personalità? (forse la
spiegazione è coordinata: le grandi personalità dirigono i mediocri e ne
partecipano necessariamente certi pregiudizi pratici che non sono di danno alle
loro opere).
“Wagner (cfr. l’Ecce homo di
Nietzsche) sapeva ciò che faceva affermando che la sua arte era l’espressione
del genio tedesco, invitando cosí tutta una razza ad applaudire se stessa nelle
sue opere. Ma in
molti il Benda vede come ragione del fatto la credenza che lo spirito è buono
nella misura in cui adotta una certa maniera collettiva di pensare e cattivo in
quanto cerca di individuarsi. Quando Barrès scriveva: «C’est le rôle des
maîtres de justifier les habitudes et préjugés qui sont ceux de la France, de
manière à préparer pour le mieux nos enfants à prendre leur rang dans la
procession nationale», egli intendeva appunto che il suo dovere e quello dei
pensatori francesi degni di questo nome, era di entrare, anch’essi, in questa
processione.
“Questa tendenza ha avuto effetti disastrosi nella letteratura
(insincerità). In politica: questa tendenza alla distinzione nazionale ha fatto
sí che la guerra, invece di essere semplicemente politica, è diventata una
guerra di anime nazionali, con i suoi caratteri di profondità passionale e di
ferocia. Il Benda conclude osservando che tutto questo lavorio per mantenere la
nazionalizzazione dello spirito significa che lo spirito europeo sta nascendo e
che è nel seno dello spirito europeo che l’artista dovrà individualizzarsi se
vuol servire l'universale. (La guerra appunto ha dimostrato che questi
atteggiamenti nazionalistici non erano casuali o dovuti a cause intellettuali –
errori logici, ecc. –: essi erano e sono legati a un determinato periodo
storico in cui solo l'unione di tutti gli elementi nazionali può essere una
condizione di vittoria. La lotta intellettuale, se condotta senza una lotta
reale che tenda a capovolgere questa situazione, è sterile. È vero che lo
spirito europeo sta nascendo e non solamente europeo, ma appunto ciò inasprisce
il carattere nazionale degli intellettuali, specialmente dello strato piú
elevato)”.
(A. Gramsci, “Quaderni del carcere”, Quaderno 3 (XX) § (2))
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