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venerdì 11 luglio 2025

Kitsch sul Kitsch – Arbasino in viaggio

Arbasino al suo meglio e al suo peggio. La solita “vertigine della lista”. Con la solita storia sociale, anche politica, in filigrana, ma robusta (duratura) e netta. Sui toni per lo più - benché scopritore impenitente, per forma mentis - del “non c’è più religione”, rassegnato e anzi divertito: un viaggiatore conservatore. Globetrotter di formazione e vocazione, qui si applica ai luoghi, per lui remoti. Sempre col “gusto del Kitsch sul Kitsch”, ma qui molto spesso anche diretto, specie se ammirato. E con qualche attenzione  per le persone, oltre che per le cose – il solito occhio antiquario, alla Praz. Molte “liste” sarebbero utili al viaggiatore anche oggi, a trenta e più anni di distanza, in Sicilia, in Myanmar, se fosse accessibile, in Iran, e anche nel Chiapas.
Scopre la Sicilia nel 1995, quindi ai settant’anni o poco meno, e giusto per aver letto il libriccino invogliante che Berenson ne aveva ricavato tornando nell’isola cinquant’anni dopo la prima volta, ai suoi vent’anni. Non di malagrazia, seppure non di buona voglia. E tutto trova perfetto –ben guidato, si è portati a opinare, ma lui non dice da chi. A parte i soliti cerimoniali politici buffi, all’epoca il vezzo di ritenersi al centro del mondo (erano gli anni - Arbasino non lo dice, guarda tutto con occhio conservatore ma evita la politica - di Leoluca Orlando, che si proiettava a Roma, a Berlino, a Bruxelles, a Washington e ovunque).
Altra scoperta è la Birmania o Myanmar. Dove c’è “la leader democratica Aung San Suu Kyi, figlia di un eroe nazionale, premiata col Nobel e il Sakharov e il Bolivar per la pace , agli arresti domiciliari”, e il paese è poverissimo, ma la dignità è ovunque e l’arte vi è eccelsa, in ogni reperto, minuto e grandioso, religioso e profano, artistico e artiginale, tenuta in pregio e ben custodita, con naturalezza. Ma la Regina di Saba viene cercata nello Yemen. Dove invece si tratta di plastica ovunque, e delle parti basse dei giovani locali, e giovanissimi, su raccondazione di Pasolini, Genet e Bruce Chatwin. Che sarà anche l’argomento trabordante dell’ultimo viaggio, a Bueons Aires – con una delegazione del premio Grinzane Cavour nel 1997: le maialate gay più inverosimili. Accanto a un elogio di Borges quale forse l’aedo della pampa non ha mai avuto prima, dal gusto critico alle tecniche di autore e ai modi personali.
“Sotto due o tre vulcani”, il saggio che apre la raccolta, in Messico nel 1997, tra Chiapas e Yucatàn, è il più sorpreso e sorprendente - ispirato e ispirante. Un mondo agreste montuoso che è una sorpresa inebriante per il viaggiatore urbano. Il quale si industria di afferrare e dominare la complessa eterogenietà dei luoghi. Sempre sotto lo sguardo scettico-conservatore, ma con aculei ferrei, lampi, fendenti. Il “rivoluzionarismo” che fa la storia del Messico, all’epoca del famoso “sub-comandante Marcos”, nel Chiapas, quello che nessuno ha visto. E la tranquilla vita di ogni giorno, semmai funestata dal turismo. La grande ricchezza, antropologica, artistica, paesaggistica, delle due regioni. L’incombenza dello “sviluppo” turistico – dormitori e comitive, e plastiche.
Una tarda scoperta d’autore. Con i suoi elenchi e le costanti digressioni, anche due-tre per pagina. Di altri mondi. Tutto sommato ancora interessante. Anche sotto il profilo politico, per un colpo d’occhio liberalconservatore, poco o nulla praticato, all’epoca – 1994-1997 – e ancora oggi. Con lampi eccezionalmente illuminanti sul senso e il peso della storia, della tradizione, dei personaggi eroici, e non. Anche dove il viaggiatore non si sente in sintonia.
La critica può
 essere feroce. Ma sempe avveduta, informata, dal di dentro. Specialmente contro il bla-bla persistente, anche in quegli anni post-1989, di “riflusso”, su Progresso, Sviluppo, Democrazia e perfino Rivoluzione – dove solo affarismo c’è, e sporcizia, seppure “di sinistra”. Ma normalmente lo sfarfallante autore sa entrare nelle situazioni locali, per le antenne prensili: vi si ritrova, con vari accorgimenti. Per es. nell’Iran degli ayatollah, dove riprende, accanto alla  grande storia politica e poetica, polimorfa anche in regime islamico, il ruolo dei religiosi di alto profilo, gli ayatollah appunto, gente di saggezza e di pensiero, prima e sotto il khomeinismo – il radicalismo politico, tra sharia e jihad.

Un caso peraltro eccezionale di letteratura di viaggio, che in Italia non è genere praticato. Seppure d’impianto modesto, in “giacca e cravatta”, rispetto ai modelli inglesi – viaggi brevi, organizzati, e si deduce accompagnati: niente cavalli, niente deserti, niente fumo, mai nemmeno la sete, e montagne addomesticate.  
Molti i ricordi, anomali nelle scorribande di Arbasino, personali. In forma di aneddoti gustosi. Dei familiari, nonni, madre, padre, perfino le sorelle. Gli amici cari Manuel Puig e Rodolfo Wilcock – è con loro che ha elaborato “il gusto del Kitsch sul Kitsch”. Il terribilista Fortini professore nel Sud Africa dell’
apartheid. La madre di Feltrinelli che lo rimprovera: i templi Maya inaccessibili doveva visitarli facendosi calare da un elicottero – e il rientro? con l’elicottero, all’ora fissata. Moravia che a Palermo e in mezza Sicilia tampina il Gruppo 63, temendo ne abbattessero con qualche mozione irrispettosa l’autorevolezza. Saul Steinberg a Milano. Il mausoleo di Khomeiny – ripetutamente, questo senza mai una virgola d’irrisione, niente Kitsch sul Kitsch: il radicalismo lo intimoriva se religioso? 
Alberto Arbasino,
Passeggiando tra i draghi addormentati, Adelphi, pp. 271 € 12

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