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Michelstaedter felice a Firenze
Centoventi
anni fa, “un venerdì sera del 1905”, Carlo Michelstaeldter sbarca dal treno a
Firenze. Ci passerà quattro anni di felicità, coeme documentano la sue (scarsa)
produzione lirica e le (tante) lettere, entusiaste. Si è iscritto pro forma a Matematica a Vienna, come
vuole la famiglia, ma ottiene di passare
a Firenze, dove invece si fermerà, per un intero corso di studi, di Lettere, e
lo completerà anche, con una tesi di laurea, con Girolamo Vitelli, il filologo
classico che diventerà il massimo papirologo – “La persuasione e la rettorica”,
che ancora si legge, subito a stampa, nel 1913, è la tesi.
Tellini,
emerito di Letteratura italiana a Firenze,
non ha difficoltà a comporre un florilegio di commenti enristasisti, in
ogni momento, per ogni occasione, di Carlo nel soggiorno fiorentino, come
scrive ai familiari, e specie alla sorella Paula. Si è anche innamorato, di
Jolanda De Blasi, compagna di studi, ma la famiglia da Gorizia gli proibisce il
fidanzamento. Il ritorno a casa sarà determinante per il suicidio: gli amici
degli anni di Firenze, Biagio Marin, Gaetano Chiavacci, Giannotto Bastianelli,
lo ricordano non solo “bello e aitante”, anche attivo, fiducioso, inesauribile
di entusiasmi, perfino pratico.
Ma,
forse di più, forse inavvertitamente per l’autore?, questa celebrazione di
Michelstaedter è un’evocazione di Firenze quale era, invece che l’hub turistico mordi-e-fuggi
di oggi – si vende anche un “Firenze in
quattro ore”. Di quando “giovani studenti” come Carlo “accorrono a Firenze da
ogni angolo della Penisola (da Trieste come Scipio Slataper e i fratelli
Stuparich, da Grado come Biagio Marin, da Cesena come Renato Serra, da Molfetta
come Gaetano Salvemini, da Matera come Giuseppe De Robertis, da Palermo come
Giuseppe Antonio Borgese”).
Gino
Tellini, Carlo nell’epicentro di libertà,
“Corriere fiorentino”
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