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lunedì 1 dicembre 2008

Torna l'estremismo liberale

Berlusconi insiste con la liquidazione dell’università. Come già nel 1994, con analoga supermaggioranza, dà via libera all’ideologia liberistica. Che allora fu sconfitta sulle pensioni e sull’euro, oltre che dalla presidenza golpista di Scalfaro. Alcuni segnali, molto dirigistici e quasi dittatoriali, quali la guerra alla prostituzione o al libero deambulare delle persone nei giardini pubblici, rimandano al vecchio istinto impositivo dei conservatori. Ma la riforma che caratterizza il terzo Berlusconi è quella della scuola, e qui l’unica ratio è il liberalismo estremo.
La differenza col primo Berlusconi è che il liberalismo era allora dei vecchi liberali, oggi di Comunione e Liberazione, e più propriamente è privatizzazione dell’insegnamento. Ovvero no, un’altra differenza c’è, ancora più sostanziale, ed è che oggi non si vedono segni di debolezza, la chiusura della scuola e dell’università pubblica è una sorta di marcia trionfale: dopo il blocco quasi decennale imposto al rinnovamento da Letizia Moratti, Gelmini marcia come un carro armato. Solo si copre d’innocenti grembiulini a scuola, e della giusta lotta al nepotismo e ai corsi di karaoke all’università. Ma già l’anno venturo si potrebbe avere un dimezzamento delle iscrizioni alle scuole pubbliche, se ci fossero sufficienti istituzioni private, le famiglie hanno bisogno di certezze, e hanno capito che la scuola pubblica sarà da baraccati.
Una terza differenza anzi c’è, ed è che il terzo Berlusconi è favorito in questa materia dall’opposizione. Che si accontenta della sterile mobbilitazzione, di studenti capetti, che non sanno neanche vincere le elezioni all’università, e per il resto lascia fare. Mobbilitazzione che ogni giorno occupa Roma, senza alcun risultato. Se non quello di stancare ormai anche le mamme trepide. Il video dell’irruzione alla Sapienza sul sito dell’“Unità” nel week-end era perfino farsesco, dove il rettore Frati giganteggiava, mentre i contestatori che avevano appena perduto le elezioni non sapevano che dire, urlavano contro l’aria sporca, o l’aria sporca.
Gli appigli non mancherebbero, la maggioranza non è compatta sullo sfascio dell’università, né mancherebbero i buoni argomenti. Quelli della Rete nazionale precari, per esempio, sulla riforma della ricerca e degli accessi. Di essi si può sapere leggendo “Science”, anche in rete. Ma non se ne trova traccia in Parlamento, per non dire nella stampa nazionale, né nei talk show che surrogano il Parlamento. Non c’è altra posizione che l’estremismo liberale, anche se non dichiarato, per l’universale corruzione: si privatizza per fare soldi.
Privatizzazione, privatizzazione
Si penserebbe la privatizzazione fuori tempo, in una fase storica il cui il cosiddetto mercatismo è nudo coi denti aguzzi dell’avidità. Ma l’ideologo non tiene conto della storia. Si pretesta il modello americano dell’insegnamento, in cui l’economicità della gestione è nell’interesse di tutti, compresa la ricerca avanzata o teorica, e non c’è posto per la corruttela, nemmeno nella forma del familismo. È la parte nobile del fatto, su cui obiettare è difficile. Ma l’ideologo sa bene che un modello di libertà non s’impone.
Le società si formano per concrezione e non si cambiano per decreto. L’insegnamento “pubblico” americano, cioè privato, ha fatto un rodaggio di secoli, ed è sorretto da una serie di pilastri tanto solidi quanto tradizionali. La mobilità anzitutto (territoriale, sociale, economica), e poi il fund raising, le fondazioni, i privilegi fiscali, le borse di studio, il sistema premiale. La società pubblica in senso proprio ha dei costi, e anche degli sprechi, ma non si può abbatterne il carattere pubblico senza abbattere la società stessa.
Ma poi si sa cosa si vuole, il governo e anche l’opposizione: che una serie inestimabile di affarucci si creino. Per amici e anche compagni. Magari con il contributo dello Stato. Come succede per la sanità, che non per questo ha ridotto gli sprechi e anzi li moltiplica. Per l’“accoglienza” agli immigrati. Per tutte le forme di assistenza. Il liberismo come la gramigna, una forma di micragnosa corruzione.

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