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lunedì 1 dicembre 2008

Contro i giudici, difesa della politica

C’è un che di eroico nella politica. C’era, e su questo il consenso è probabilmente unanime: ci vuole molto impegno (dedizione, fede, sacrificio). E c’è tuttora, anche all’epoca della politica da salotto in tv, tra grandi dame e giornaliste veline, quando non sculettanti, che da sole sembrano un premio: il facile esibizionismo è pagato col generale sospetto di corruzione, che la magistratura tra tutti corrottissima agita sulla politica da un ventennio, dal caso Sofri all’assessore napoletano che per questo si è ucciso. Quando non di mafia, nepotismo, dissoluzione.
C’è bisogno di governo: ci vogliono scelte, ci vuole un luogo dove esse si possano fare, che è appunto quello politico. Sia esso il Parlamento, il consiglio comunale, o il talk show. Scelte che, per quanto riduttive o anche meschine, sono però sempre di qualità e d’impegno più cospicui che quelle di ogni altro ordine. Sulle piccole come sulle grandi cose, dalle quote del latte alla legge sulla buona morte. C’è quindi un che di eroico nella scelta di fare politica. Non solo perché spesso si conclude, sotto i colpi dei rinvii a giudizio, col suicidio.
Non c’è altro cursus più faticoso, pervasivo, perfino pericoloso. Lo era anche prima del golpe giudiziario, e tanto più dopo. Nella aree della criminalità organizzata e in quelle “babbe”, perfino in Val d’Aosta per dire, o in Alto Adige. Mentre i giudici sono quelli che erano, la sola istituzione non defascistizzata (si dice corporativa, ma è propriamente fascista), che anche la Costituzione usa come randello. Il potere si acquista ugualmente facendo l’editore di giornale, anche del solo giornale cittadino. O il presidente della squadra di calcio. I soldi si fanno di più con un buon negozio di ferramenta al Tiburtino Terzo. Per fare la politica l’ambizione dev’essere molto selettiva, oltre che radicata.
La politica sarà anche corrotta, mafiosa, nepotista e dissoluta, come i corrotti dissoluti vorrebbero. Ma con un fine. E mediocre. Ma non si può essere giganti tra i nani, se non in "Gulliver", solo un po' più alti. Si potrebbe argomentare che è una delle forme della follia. In effetti non ha altra ratio, dovendo averne una. Se la passione è follia.

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