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lunedì 1 dicembre 2008

Multilateralismo, con chi?

Si presenta la scelta di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato come un ritorno degli Usa al multilateralismo. Ma solo in Europa. Anzi in Italia. Per il motivo che il marito aveva una politica multilaterale. Mentre invece Clinton, come già Reagan, aveva abbadonato di proposito ogni approccio multilaterale agli affari internazionali. Bush jr. l'ha in parte ricostituito, obbligato dalla lotta al terrorismo. Ma Reagan e Clinton, sull'onda del crollo del sistema sovietico, avevano proceduto come bulldozer. Schierando talvolta gli alleati, ma a comando - non c'è buon ricordo nelle cancellerie di Madeleine Allbright, arrivava spesso e non diceva nulla, Powell e la Rice se non altro hanno riportato un po' di grazia.
Bisogna d’altra parte che più soggetti siano attivi perché si abbia una politica estera multilaterale. Questo non avviene più da tempo. L’Europa non ha mai avuto una politica estera e di difesa, ed è immobile da un decennio, il decennio di Maastricht, sul piano commerciale. Il Sud America non ha alcun peso. L’Asia continentale vive in simbiosi stretta con gli Stati Uniti, politica e commerciale: è l’asse dalla globalizzazione. La Russia di Putin scalcia, ma il ridicolo dell’asse con Chàvez ne dice i limiti: può solo ambire ad essere un partner tra gli altri, degli Usa, non ci sono altri ambiti.
È dai tempi di Kissinger, quindi da un trentennio abbondante, che il multilateralismo è stato abbandonato come dottrina da Washington. Kissinger sembrava postularne il rilancio, con documenti e studi pubblicizzati. Nel mentre che lo affossava, scegliendo la via degli accordi con Mosca e con Pechino, una volta rotta l’unità occidentale con l’inconvertibilità del dollaro. Multilateralismo era per l’europeo Kissinger avere l’inconcludente Europa tra i piedi, tanto pretenziosa quanto inconcludente. Non è ancora abbastanza valutato il sardonico “anno dell’Europa” con cui Kissinger bollò il 1974, l’anno della fine dell’Europa, che la crisi del petrolio scoprì inerme.
La crisi economica sembra destinata a moltiplicare le assise internazionali. A cinque, a otto, a dodici, a venti, o ventuno. E magari anche le riunioni periodiche. Tutte però destinate a interinare le decisioni che Washington propone e dispone, come ben sa chi prepara queste assise: i capi di Stato e di governo si riuniscono non per discutere e gestire gli affari del mondo ma per varare un comunicato.

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