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sabato 30 gennaio 2010

Che noia l'arte, di Savinio

Un Savinio avulso: didattico, programmatico, ripetitivo. Con due saggi di analogo tenore dei curatori. È il Savinio teorico degli anni 1919-’21, qui sono i suoi testi per la rivista “Valori Plastici”, senza storia a parte la difesa del fratello De Chirico, la loro unica ragione d’essere. Dei suoi trent’anni quindi: lo scrittore del “non sarò mai vecchio” non fu dunque neppure giovane.
Non manca il Savinio vero: Il “Credo dell’antisocialismo” (“fra gli uomini corrono disuguaglianze”), l’unica tradizione pittorica francese, Poussin, Ingres, Cézanne, Renoir, è italiana, l’Italia “terra di rivoluzioni”, per la Natura che obbliga sempre a ricominciare daccapo, i terremoti, ma l'italiano geneticamente "negato allo spirito romantico, il "romanticismo eterno" di Croce negato proprio agli italiani. Ma è un libro di poetica che non è la sua poetica, e non è anzi una poetica, malgrado gli sforzi dei curatori, che prendono metà del libro – Savinio aveva già scritto e pubblicato “Hermaphrodito”. L'effetto è talora comico: "Siamo e resteremo fermi nel nostro giudizio che l'arte più alta, più profonda e più assoluta, è quella di uno spirito nutrito e come sollevato dalla filosofia, Platone o Goethe, Wagner o Boecklin, piuttosto che l'arte sottile e superficiale di un Anacreonte, di un Ariosto, di un Giorgione o di un Rossini", cioè di Savinio.
Alberto Savinio, La nascita di Venere, Adelphi a cura di Giuseppe Montesano e Vincenzo Trione, pp. 164, € 12

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