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mercoledì 11 gennaio 2012

La poesia civile dei sogni a occhi aperti

“Prendo in prestito parole patetiche\ e poi fatico per farle sembrare leggere”. Nel Novecento, nella Polonia travagliata dal comunismo, la guerra civile europea, e votata alla ricerca, espressiva, tematica, una poesia normale, tradizionale. Con i mezzi dell’innovazione addomesticati, utensili docili e bene armonizzati, naturali. L’amore è di lei per lui, i sogni sono a occhi aperti, la presenze ordinarie ordinate, la sorella, il gatto, il vecchio professore, il funerale, il curriculum, dechirichiana metafisica del quotidiano. E l’(im)possibilità dell’essere, che c’è tutta, ripetuta, quale l’essere la vede, che è poi l’unica prospettiva possibile - “Un amore felice”: “Sembra un complotto contro l’umanità”. Nonché, per gli insonni, il mistero dell’ora mattutina, “nessuno sta bene alle quattro del mattino”. Esistenziale. Sapienziale: “Nulla due volte accade\ né accadrà”, “Animuccia, solo dubitando dell’aldilà\ prospettive più ampie potrai avere”, con l’utopia deserta, “nella vita incomprensibile”, o il “Pi greco” che incita “l’oziosa eternità a durare”.
Avremo avuto due Polonie, quella di Woytiła, del Dio sofferente, e quella altrettanto risoluta ma lieve, divertita di Wisława Szymborska, la poetessa. Di una poesia che sa essere fuori della storia politica. Anche personale, fra le immancabili vessazioni, incomprensioni, sofferenze – il comunismo sovietico manifesta pieno in questa attezione-disattenzione il suo vuoto, di promessa, di attesa, era una ragione di Stato russa e nulla più. Avendo vissuto e vivendo in pieno la politica ogni giorno, con gli occhi aperti. Una poesia civile civile e non ideologica, tantomeno partitica.
Assonanze, echi, rimandi, ritmi allegri da filastrocca, una poesia facile rimescola gli ingredienti del secolo e la terribilità della storia. Nonché la tradizione, fino a moduli arcaici – “La cipolla” rimanda irresistibilmente ai “Capitoli” del Bronzino, a quel tipo di sfida dell’arte al reale. Della stessa sapiente lievità l’opera di Pietro Marchesani, il traduttore. Che esemplifica, meglio forse di quanto ha teorizzato la traduzione “fedele”, la ri-creazione di una poesia in un’altra lingua. Senza tradire l’originale, per quel poco che è possibile vedere, né nel senso poetico né nella parola.
Wisława Szymborska, Elogio dei sogni, Corriere della sera, pp. 263 € 1

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