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venerdì 20 gennaio 2012

Per tre anni la Bce ha finanziato la Germania

“Offrire un’assicurazione di prima categoria sui titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un impianto nucleare che sta per collassare”. In nota, giunto alla fine del suo argomentare sul miglior esito della crisi, l’economista capo della Deutsche Bank, Thomas Mayer, non si risparmiava il 26 ottobre il sarcasmo. Senza cattiveria, il suo sarcasmo era rivolto al Fondo europeo di stabilizzazione: “Né il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto sollevati da questa assicurazione”. Il punto è, aveva argomentato l’economista, prevenire o evitare il collasso. E cioè, aveva spiegato, affrontare la “crisi nascosta” della bilancia dei pagamenti interna a Eurolandia.
La sua tesi è che lo squilibrio si è creato per la progressiva sostituzione degli Stati europei creditori, nel 2010 e 2011, al “mercato” (banche, fondi, fondi sovrani), nel finanziamento degli Stati europei debitori. Direttamente e attraverso il Fondo di stabilizzazione. È così che la posizione netta della Bundesbank nei riguardi della Bce è cresciuta nei primi nove mesi del 2011 del 124 per cento, da 326 a 450 miliardi di euro. Mentre quella dell’Italia è peggiorata del 107 per cento, da un attivo di 3,4 a un passivo di 106,9 miliardi.
Il capo economista della Deutsche Bank aveva già pubblicato a giugno uno studio sugli squilibri interni all’Europa determinati dal sistema dell’euro. Un problema identificato per primo dal presidente del Ces-Ifo di Monaco Hans-Wernes Sinn, del Centro di ricerca economica dell’Ifo, l’istituto per lo studio della congiuntura, di Monaco. Che successivamente raccolse i suoi e i contributi in materia di altri economisti in una serie di pubblicazioni online sul sito Ifo Schnelldiest, a partire dal 31 agosto. È il pensiero della “lobby Buba”, Buba per Bundesbank, una scuola di economisti più che di banchieri, e tanto brillanti, disponibili e garbati quanto demenziali. L’argomento si presenta semplice e evidente. Nei dieci anni dell’euro il credito a buon mercato ha provocato forti sbilanci interni ed esterni nell’unione monetaria. Quando la bolla è scoppiata e il finanziamento privato di questi sbilanci si è assottigliato, il sistema delle banche centrali dell’euro (Eurosistema), fu coinvolto in finanziamenti ponte per evitare la crisi. L’Eurosistema si è così esposto al rischio di default, di banche o di debiti sovrani. E ha fatto di tutto per evitarli, anche nel caso in cui c’erano “serissimi dubbi sulla solvibilità di un paese”.
C’è, cioè, nell’analisi un sordo risentimento contro le cicale, la Grecia sicuramente, la Spagna chissà, l’Italia… Senza considerare che con la Grecia sarebbero fallite le banche tedesche, quelle che più hanno profittato del falso boom ellenico. Il risentimento è rafforzato dall’argomento centrale di Mayer il 26 ottobre: gli sbilanci nei pagamenti fra i membri dell’euro “rappresentano trasferimenti reali di risorse dai paesi in attivo a quelli in passivo”. Ribadito, perché non ci siano dubbi: “In altre parole, merci, servizi e attivi sono trasferiti dai paesi creditori ai debitori a prezzi sussidiati, un sussidio misurato dagli attivi e passivi (delle banche centrali nazionali) nei confronti della Bce”. È cioè il punto di vista della Bundesbank, e non del funzionamento dell’economia. Un punto di vista nemmeno monetaristico, ma meramente contabile.
Mayer, provocatoriamente, sostiene nel supplemento del 26 ottobre che il problema si può solo risolvere inducendo i paesi creditori, cioè la Germania, ad adottare politiche inflazionistiche, che deprimano il tasso reale di cambio (in un sistema non unitario sarebbe la svalutazione), e consentano ai paesi indebitati di eliminare le passività nei confronti della Bce. Una sorta di “sentenza suicida”. Che Mayer rafforza col sarcasmo, adottando liberamente, in un testo che si vuole di studio, la contrapposizione “germanici-latini”. Altra possibilità non c’è, così argomenta il sarcasmo: “Dal punto di vista dei paesi in passivo, una politica che surriscalda i paesi creditori è l’esito migliore, che risparmia a loro i costi della deflazione. I costi dell’aggiustamento sarebbero messi in capo ai creditori sotto forma di inflazione”. Con una manovra subdola: “Poiché i costi da inflazione sono intrasparenti e distribuiti su un lungo periodo, è difficile organizzare una resistenza. Una politica di denaro facile e un tasso di cambio debole invece favoriscono questa soluzione”.
Deutsche Bank non considera bizzarramente quello che i suoi stessi studi e i suoi bollettini documentano: che la Germania è la beneficiaria della crisi di liquidità dei paesi “latini”. Una tavola costruita da Mayer per dimostrare che i Gip (Grecia, Irlanda e Portogallo), la Spagna e l’Italia sono i beneficiari dei rifinanziamenti europei tramite la Bce dimostra esattamente il contrario. I rifinanziamenti Bce sono andati per l’80-90 per cento agli “altri” paesi euro, i nordici, da metà 2007, alle prime avvisaglie della crisi, a metà 2009, e per il 60 per cento e oltre agli stessi paesi da metà 2009 a giugno 2010. Quindi per ben tre anni, quando la stessa Deutsche Bank se la vedeva brutta, e alcuni colossi austriaci, belgi, olandesi. Solo nei dodici mesi successivi i Gip sono arrivati al 50 per cento – Spagna e Italia ancora a ottobre 2011 non vanno oltre il 5 per cento l’uno. Inoltre, è questa la seconda bizzarria del computo, i Gip sono arrivati al 50 per cento degli impegni della Bce quando questi sono stati ridotti, fra i 400 e i 500 miliardi, mentre quando la Bce consolidava gli “altri” l’impegno era costantemente sopra i 700 miliardi, e in alcuni mesi sopra gli 800.

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