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martedì 17 gennaio 2012

Letture - 83

letterautore 
Dante – Un connotato del romanticismo è l’affezione per l’Italia. Ma per Dante più che per Petrarca. Per i sottintesi politici del romanticismo. Per il patriottismo. Per il repubblicanesimo – per la libertà repubblicana. E anche per il senso di una vita oltre la vita, la missione del poeta. C’è anche un Dante africano. È la novità del 2011, ed è uno dei contributi più interessanti del revival di Dante in lingua inglese nel 2011. Che ha registrato anche l’edizione digitale delle “edizioni” di Dante di Petrocchi (1966-67) e Federico Sanguineti (2001), un’attraente biografia di A.N.Wilson, “Dante in love”, nuove traduzioni dell’intera “Commedia” negli usa, del “Purgatorio” e del “Paradiso” in Gran Bretagna, il collettaneo “Dante and Italy in British Romanticism”. Il Dante africano è il ribelle. Lo studio sulla ricezione afro-americana di Dante e la “Commedia”, “Freedom Reader” di Dennis Looney, traccia tutti i riferimenti, sia letterari sia mediatici, dal 1860 alla contemporaneità. Dante è il “ribelle”: Looney lo dice un marker duplice, in quanto segna l’ammissione alla cultura europea e, insieme, una forma di rigetto. Prima che il poeta, Dante è l’esiliato, il critico dell’autorità politica e religiosa, e il protagonista di un viaggio che lo libera. È il classico più tradotto in inglese. È un moderno, argomenta David Robey sul “Times Literary Supplement” del 7 ottobre 2011, “Zoom to Dante”, per il linguaggio e lo stile, più che per i contenuti. E per questo attrae così tanti traduttori, non tutti “specialisti di italiano”: “la forma stilistica e linguistica della «Commedia».è unica, e per questo singolarmente difficile da tradurre”. Una sfida: ”Non è tanto il metro o lo schema ritmico in sé che rende arduo il compito del traduttore; è l’uso peculiare che Dante fa di essi. Il verso in terza rima si accoppia a una sintassi il cui flusso fortemente ritmico dipende da ricorrenti cesure di clausola alla fine del verso e cesure di frase alla fine della terzina.” E non è tutto. “Le rime sono raramente ovvie o facili e di solito legano parole di variati tipi grammaticali o semantici”, alla ricerca dell’effetto sorpresa: “Le parole in rima sono spesso rare, talvolta inventate; possono prendere la forma di inconsuete metafore, e coinvolgere vigorosi, anche violenti giri di frase. Lo stile di Dante è energico, conciso, chiaro e concreto, ma si consente una considerevole licenza stilistica e linguistica”. C’è pure l’inevitabile “Dante è un altro” nel revival inglese. È “Dante in Purgatory” di Jeremy Tambling, sugli “stati d’animo” nel “Purgatorio”. Una lettura post-strutturalista, o derrideana, di Dante, che Tambling ha avviato vent’anni fa con “Dante and Difference”. Tambling “scopre” anche in Dante molti significati impliciti nel testo, la duplicità delle emozioni, la frammentazione del sé, l’eccesso di significante. Un esempio di eccesso vede nella luminosità del Paradiso, che evoca l’idea del latte materno. Hölderlin – La schizofrenia catatonica da cui fu colpito per più della metà della sua vita comporta la perdita della capacità dialogica, di rapportarsi agli altri, per chiudersi nel monologhismo, abitualmente senza senso. Ma nelle poesie della follia Hölderlin-Scardanelli mostra una costante capacità di esprimersi, e quindi di comunicare. Scrive in bella grafia, sempre pulita, senza ricopiature e senza cancellature. Testi esatti dal punto di vista lessicale e grammaticale. E anche della sintassi poetica. Con mano ferma. Con gli emistichi segnati. E non una parola fuori luogo, o un segno d’interpunzione. Dopo che per settimane non aveva detto una sola parola sensata. Il linguaggio della poesia attraversa la follia? Italia - Un paese di trecento generazioni. Per venti anni, fa seimila anni di storia - per venticinque anni a generazione la storia è di 7.500 anni. O di duecento generazioni? Per venticinque anni l’una, farebbe comunque cinquemila anni. Joel Elias Spingarn, il grande comparativista americano, nella sua “History of Literary Criticism in the Renaissance” (1899, a ventiquattro anni) trovava nell’italiano tutti i termini della critica in Europa. Corrispondente di Croce, citato da Gentile nei suoi “Studi sul Rinascimento”, Spingarn è rimasto inedito in Italia (eccetto che per la corrispondenza con Croce, un volumetto pubblicato dieci anni fa). Professore per un decennio alla Columbia, tentò la politica nel partito Repubblicano e poi nel partito Progressista, autore sfortunato di una mozione contro la discriminazione razziale. Cofondatore della casa editrice Harcourt Court nel 1919, era stato in guerra volontario, col grado di maggiore. Leopardi, nel “Discorso”. Riprende più volte il tema della “società stretta” che manca all’Italia. Che poi si dirà della “classe dirigente”, o delle élites. Se “ogni società è edificata su un poema” (Octavio Paz, “Los hijos del limo”, 91), su quale poema sconclusionato è fondata l’Italia? Questa domanda retorica d’obbligo è anche la risposta: certo che l’Italia è fondata su un poema, ma l’essenza di questo “poema” è di dirsi che l’Italia non è fondata su un poema, non è fondata, non è. Per non aver fatto mai la rivoluzione, rifatto le teste ai padroni. Per un residuo di Kulturkampf, per non aver fatto la Riforma e cacciato il papa. Per essere ancora troppo composita. Per non aver fatto l’esame di coscienza dopo la caduta del Muro. Sui motivi anche, che pure sono evidenti, la risposta d’obbligo si vuole sconclusionata. Uno sconosciuto Flonsel ha a Parigi nel dottor Burney, p. 372, dunque nel secondo Settecento, “una biblioteca tutta italiana, ventimila volumi”. Ma “non è mai stato in Italia, tutti questi libri li ha raccolti in Francia”. Ancora Burney: “Mi donò una sua pubblicazione, e un’altra con dedica di Goldoni mi spedì per posta”. Romanzo verità – È un genere, specifico. Ma tutto il romanzo ne beneficia. U. Eco, “Dire quasi la stesa cosa”, p. 19, ricorda che ai romanzi si concede, “per millenario accordo, la sospensione dell’incredulità”. Con riflessi sullo stesso concetto di verità - sulla verità della verità. Come modalità di ricezione e come forza di proposizione, la verità si può dire racchiusa nel concetto oggi privilegiato di “narrazione”. È un romanzo ben articolato, appassionante, sorprendente, a condizione che sia ben costruito. Traduzione – Quella dei poeti è “deperibile”. Più di altre traduzioni legate alla sensibilità del mercato. Barbara Lanati faceva l’esempio, ad un convegno a Bergamo nel 1988, di Emily Dickinson, per la quale in meno di vent’anni la traduzione, che prima privilegiava un’interpretazione “clinica” della poetessa, s’era spostata sul lato religioso e mistico. È inevitabile, essendo la traduzione una lettura, legata alla sensibilità della lettura, che è eminentemente storica. Quella dei poeti è un adattamento. Più corposo, e quindi deperibile, della traduzione prosastica, di romanzo, filosofia, storia. È “dire quasi la stessa cosa” per U. Eco, che ci ha dedicato da ultimo il volume dallo stesso titolo. Dove quasi può essere niente e tutto (“la Terra è quasi come Marte….”). Eco che ora ripropone “Il nome della rosa” riscritto. Quasi riscritto, rivisto. Per dire che la retorica è inutile, sia pure accresciuta nella semiologia? Un’infiorettatura e un divertimento. Una scienza fatta per gioco. “La traduzione implica due messaggi equivalenti in due codici diversi”, avrebbe detto Jakobson, “Saggi di linguistica generale”, 58. Confermando la semiologia quale scienza della denominazione, senza pedagogia. La traduzione era per Seferis una “prova di resistenza” della sua propria lingua. In questo senso egli stesso la esercitava saltuariamente, per sperimentare fino a che punto poteva “dilatare” la lingua greca, e la sua propria “lingua”, riuscendo ad assorbire altri linguaggi. Della traduzione in francese dell’“Inferno” operata da Jacqueline Risset venticinque anni fa si è potuto dire che era “più comprensibile” dell’italiano. Senza tradire l’originale - una traduzione, notava Antonio Porta (“Corriere della sera” 6 marzo 1988) “che ha sorpreso un po’ tutti”. letterautore@antiit.eu

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