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domenica 15 gennaio 2012

Il Sud tradito dai suoi chierici

Si finisce con l’inizio, con un “tuttavia”: “Tuttavia, la pesante presenza nella storia dell’Italia unita di un pregiudizio anti-meridionale non può essere messa in dubbio”. Con una vasta bibliografia aggiornata agli anni dopo il 1980. Sui presupposti già avanzati da Giarrizzo: la Questione Meridionale è una questione politica, la libertà del Sud è dal meridionalismo.
Gli assunti della studiosa in prefazione al libro sono già la verità: “La Questione Meridionale richiede un contesto italiano, reale o immaginario”, e la Questione Meridionale è tante questioni meridionali, l’arretratezza, la mafia eccetera, reali, circostanziate. Qui si parla della questione “parlata”, la “rappresentazione costruita”, dagli stessi esuli meridionali (“il fascismo, nel bandire l’uso dello stesso termine di «Questione Meridionale», giunse più vicino a coglierne il carattere linguistico”... ). Rappresentazioni del Sud prima e dopo il Quarantotto è il sottotitolo del libro.
Il libro è in realtà una vindication del primato culturale del regno di Napoli, o comunque della sua non arretratezza, nei decenni successivi a Napoleone e prima dell’unità – “curvato” in fine nel senso del titolo. Una scena di grandissima modernità. L’associazionismo era diffuso e influente, economico, agrario. Le università private erano di elevatissimo livello. Molte le pubblicazioni scientifico-tecniche, anch’essi diffuse, lette, commentate. Il “Giornale del Regno delle due Sicilie”, governativo, di divulgazione scientifica e tecnica, veniva ripreso da importanti giornali straieri. Si piantavano alberi ovunque - in Abruzzo e Molise i parroci li davano in penitenza ai peccatori in confessione, piantare alberi invece che dire giaculatorie. C’era un Collegio universitario Italo Greco a San Demetrio Corone. C’era un giornale tecnico-scientifico italo-albanese nel crotonese, e uno italo-maltese nell’isola. In Calabria c’erano quattro teatri d’opera, con stagione lunghe otto mesi, e una diecina di opere ogni anno in cartellone. La piaga fu il protezionismo, o la vecchia concezione annonaria dell’economia, oggi si direbbe autarchia, che con tutto il modernismo degli studi sempre afflisse i vari governi di Napoli. Ed è questa ambivalenza che ne fa uno studio prezioso, l’ininfluenza dell’opinione sul potere e lo stato delle cose.
C’è molto in questo libro, prima che venisse “curvato” nel senso che vuole il titolo . C’è anche un ritratto conciso e veridico di Ferdinando IV. Mentre sir John Acton è liquidato come avventuriero. E tante altre vicende poco note - Petrusewicz ha letto per noi una vastissima bibliografia, che arricchisce il volume. Ma, soprattutto, c’è l’uso del vecchio termine di intellighentsia per l’élite intellettuale – che Petrusewicz recupera in fine, cioè licenziando il libro, dopo la galoppata sui primati morali e civili del Regno borbonico. È la parola giusta, poiché recepisce alterigia e nomenklatura insieme, per l’ineffettualità, se non fu nocività, dei “grandi idealisti e cattivi politici” (Croce) di cui Petrusewicz fa il censimento. Che culminerà nello “spergiuro” di Ferdinando II, dopo tanta modernizzazione, nel corso del 1848. Il distacco, e quasi il disprezzo, dell’intellettualità verso il suo mondo, il mondo contadino, terragno, incolto che pure l’ha espressa. Che è come dire l’incapacità della borghesia, di cui quella intellettualità, tutta post-manomorta, era – è – l’espressione.
Marta Petrusewicz, Come il Meridione divenne una Questione

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