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mercoledì 18 gennaio 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (114)

Giuseppe Leuzzi

Secondo la storica americana, di origine triestina, Clara Lovett, “The Democratic Movement in Italy, 1830-1876”, una buona metà dei democratici meridionali al momento dell’unificazione e dopo provenivano dalla “classe agraria”.
Pubblicato a Harvard nel 1982, il libro non è tradotto.

“Dal Seicento la pratica di castrare i bambini prima della muta della voce si diffuse in modo incontenibile”, spiega Cecilia Bartoli a “Repubblica” il 12 gennaio; “In migliaia subirono l’atroce mutilazione, quasi tutti provenienti da famiglie povere del Sud”. C’era già il Sud nel Seicento?

“Molti (castrati) morivano d’infezione, pochissimi emergevano”, continua la celebre cantante: “I talenti erano coltivati a Napoli, città culturalmente centrale, con ben quattro conservatori”. Venezia ne aveva quattro solo femminili, in aggiunta cioè ai maschili. Il Sud va riscoperto, anche nei lati buoni.

Sud
“Grandi idealisti e cattivi politici” Croce disse gli artefici della Rivoluzione Napoletana del 1799. Per quanto eccellenti: Cuoco, Russo, Pagano, Cirillo, Fonseca Pimentel. Allievi di una generazione ineguagliabile di cervelli all’università di Napoli: Genovesi, Filangieri, Gravina, Giannone, Capasso, Galiani, Galanti, Palmieri, per tacere di Vico. Che Marta Petrusewicz chiama col vecchio desueto nome di intellighentsia (“Come il Meridione divenne una Questione”). A ragione: questo è l’intellettualità al Sud, una intellighentsia, una sorta di nomenklatura che accumula altre incrostazioni e non libera.
Il problema principale del Sud, e quello all’origine della stessa Questione Meridionale come “rappresentazione costruita”, direbbe Petrusewicz, è l’intellettualità autoreferente, slegata dalla società che pure la esprime e ad essa ostile. L’analisi, la critica e il progetto restano insocievoli e decontestualizzati. Tra intellettualità e società si ricostituisce costante una frattura che non può che degenerare in reciproca diffidenza. Con generalizzazioni infedeli e sterili - il “feudalesimo” è la più resistente e la meno proficua, anzi deviante.

L’odio-di-sé meridionale
“Se ami il Sud”, dice il vescovo mons. Giancarlo Bregantini in “Non possiamo tacere”, 149, “e cominci a guardarlo in una prospettiva di fiducia e di speranza, lentamente ne apprezzi tutta la bellezza, ne cogli i valori, la positività”. Senza rispetto di se stessi non c’è modo d’essere. E: “Capisci una cosa banale: i valori del Nord sono di un tipo, quelli del Sud sono di un altro genere. Non c’è un più e un meno”. La meridianità dei vescovi è più semplice – evidente, pratica - di quella del filosofo Cassano.
Bregantini ha scoperto il Sud sedicenne un’estate a Ógnina, il mare di Catania. L’estate del 1968. Ógnina sospende tutti i catanesi alla nostalgia. Il ragazzo Bregantini vi arriva volontario, con altri coetanei da Trento, per aiutare a costruire una chiesa durante le vacanze. Ma Ógnina e Catania lo atterriscono: Ogni aspetto di quel nuovo ambiente mi pareva minaccioso”, ricorda, “pieno di pericoli”.
Uno del Sud è felice di essere in Toscana, nel Veneto. Anche in luoghi brutti o trascurati. Anche se viaggia per piacere. Sempre a suo agio. Uno del Nord può apprezzare questa o questa veduta o un monumento di Napoli o Palermo, ma vi è sempre a disagio. È l’effetto dell’emigrazione? Ma anche il Veneto emigrava in massa. È la mancanza di pregiudizio – tutta la capacità di pregiudizio il meridionale concentra sul Meridione.

Scrisse Corrado Alvaro in uno dei suoi ultimi articoli, per scherzo ma non tanto, della borghesia in Calabria che essa era nata nella guerra con la borsanera. Che in Calabria non si poteva (se non contro la corruttela dell’ammasso obbligatorio), non essendoci città in Calabria e non essendoci mai stata carenza di approvvigionamenti.
La borghesia è certo un problema in Calabria, pavida, corrotta, etc. Come in tutta l’Italia. Dove essa a lungo è stata comodamente adagiata sull’appropriazione della manomorta ecclesiastica, big business, più che sulla sagacia, l’iniziativa, la costanza. E quella professionale lo è ancora, “giudice il padre giudice il figlio, primario il padre primario il figlio, professore il padre professore il figlio….”, che poi si erge a coscienza “civile” della nazione.
Grande borghese, anche se senza maiuscole, era il padre non amato dello stesso scrittore, che ha “fatto” quattro ottimi figli, sono stati la sua “industria”, tutti protagonisti nella loro realtà, uscendo dal fango di “Gente in Aspromonte”.

Milano
Claudio Abbado vuole novemila, o novantamila, alberi piantati per l’Expo 2015. Ha un precedente in Molise e in Abruzzo, dove i confessori davano questo per penitenza ai parrocchiani, di piantare alberi invece di dire giaculatorie.
Scavare un pozzo, piantare un albero è anche la buona azione di ogni mussulmano.

San Babila fu fatto rimuovere dalla basilica di Dafne, presso Antiochia, dall’imperatore Giuliano per restaurarvi senza complessi il culto di Apollo. Ma la rimozione, secondo Kavafis, portò alla rovina del tempio di Apollo, e alla sincope di Giuliano. Il santo è vendicativo?
(Non è però quello di Milano. Che se ne è appropriata nel tardo Cinquecento, immaginando che i resti del santo fossero stati rubati e traslati da Matilde di Canossa. Il santo di Milano (di Cremona) è uno dei primi preti locali, giustiziato nel 94 nella persecuzione di Domiziano.

Vi guarda dietro le spalle un milanese mentre vi parla, mentalmente vi misura, e per questo talvolta si irrita, o si entusiasma, con vostra sorpresa: sta perdendo il suo tempo oppure sta puntando bene. Per una questione d’impiego del tempo, probabilmente: il desiderio di efficienza rende terribilmente soggetti all’ansia del tempo. Oppure per una vecchia diffidenza. Uno ha l’impressione spesso a Milano di essere in Sicilia, la luce in meno. Dove si viene ugualmente valutati. Anche se con stile diverso, chiacchierone, amichevole, smodato.
Non per mettere Milano al livello della Sicilia. Ma uno solitamente si attende al più un semplice moto di curiosità. Quando ci si incontra a Parigi, per esempio, a Londra, a New York, le capitali della fretta.

Gaetano Salvemini insegnante di liceo a Lodi ha scritto tre saggi diminutivi sul Risorgimento milanese, fatto di accortezze e convenienze, dei nobili e dei borghesi. Che raccolse in un libro, che ora si ripubblica. Dunque fu possibile: insegnare in un liceo a Lodi e scrivere a Milano su Milano, criticamente.

È curioso come l’antipolitica “unisca” i giornali milanesi, di sinistra e di destra: il “Corriere della sera”, “Il Giornale”, “Libero”. Anche “Il Fatto quotidiano”, giornale vedetta dell’antipolitica, che si fa a Roma, è molto milanese.

“Milano è maschio”, è il capitolo centrale delle “Storie dei Lombardi” di Gianni Brera. Che così comincia: “Per la femmina Italia – madre dei vitelli – sono femmine tutte le città. Sia questo dunque il primo doveroso atto d’amore, di riaffermare la maschilità di Milano”. Non ci sono pii gesta molto maschili nel prosieguo, a parte le efferatezze, molte peraltro a opera di donne. Ma si capisce che l’Italia, dacché esiste, sia sempre improsata da Milano: Milano sta lì per quello.

leuzzi@antiit.eu

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