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giovedì 17 gennaio 2013

La stupidità è intellettuale e ottimista

“Alcuni scrivono per dimostrare che sono donne, al più ermafroditi, e mettere in evidenza col loro canto (si sa che le donne amano i versi) che non sono gli uccelli più belli quelli che cantano meglio. Altri per evacuare con la scrittura l'immondizia della loro anima, al fine di sapere dagli analisti degli escrementi spirituali lo stato della loro malattia”. Umorista, come lo vuole una tradizione bicentenaria, il non ancora ventenne Johann Paul Friedrich Richter, detto Paul, di questo “Elogio della stupidità” non sembra proprio, ma piuttosto uno arrabbiato e, data la giovane età, forse un disadattato. spregiatore del mondo o misantropo, come ancora nel tardo Settecento si diceva. Invece è solo uno che sa già quello che Hofmannstahl stabilirà: “La stupidità più pericolosa è un’acuta intelligenza”. E vivrà e scriverà negandosi, col nome di Jean Paul - un omaggio, il Jean, a Jean-Jacques Rousseau.
C’è una tradizione spessa degli elogi, un piccolo genere: dai sofisti “maestri di virtù”, ossia della retorica, agli operosi elogi ottocenteschi dell’ozio, di Cesare Beccaria o Paul Lafargue, il marito di Laura Marx, alle collane di elogi che ancora usavano in Francia tra le due guerre, e ora si rifanno, della pigrizia, dell'ignoranza, della bruttezza, della curiosità, della frivolezza. Talvolta il genere è esortativo: vedi gli elogi, ricorrenti fra i padri e i predicatori, della modestia, delle temperanza, della continenza, della povertà. Oppure è semplicemente elogiativo: è il caso del testo di Leopardi sugli uccelli. Ma prevale il gioco delle inversioni, naturalmente ironico, caro alla poesia burlesca e affinato da Erasmo.
Jean Paul fa parlare la stupidità. E la fa parlare dei suoi rapporti con gli intellettuali, gli uomini, le donne, capi e sudditi, governanti e scienziati. Questo “Elogio” è così uno specchio, svagato ma fedele, e ancora vivo, del moderno modo d’essere di quelli che si chiameranno gli intellettuali, anteriore ma anche successivo a quelli di Baudelaire e di Flaubert, dei ticchi nei quali si risolve spesso il nostro pensiero profondo. È un catalogo e non un libello, poiché i bersagli non sono persone e situazioni del tempo. E non è una critica di costume: Jean Paul non è Goldoni, né Baretti o Parini. La critica va all’ipocrisia, la superficialità, lo snobismo, il carrierismo, l’arroganza, la sciatteria. L’opposto di chi cerca saggezza e verità. E per questo non è datato: è una mappa di budella intorcinate, quelle della stupidità, e non innocua, della cultura che si sarebbe detta occidentale. In un senso, se l’ottimismo è stupido, Jean Paul è il primo degli stupidi.
Jean Paul, Elogio della stupidità. Shakespeare and Company, pp. 151 ril. pp.vv., 

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