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venerdì 22 novembre 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (189)

Giuseppe Leuzzi

Bellezza e povertà
L’autunno sull’Aspromonte è quest’anno specialmente fiammeggiante. Le piogge di san Martino hanno  infine ripulito i boschi della polvere estiva. Grandi foreste di faggi rossi suonano l’hallalì a elfi e ninfe attorno a Gambarie. Il giallo è carico, limoncello maturo, degli aceri giù verso Basilicò, che un tempo proteggevano contro le streghe, i pipistrelli, e la sfortuna, sotto l’argento sfavillante dei pioppi. Ma nessuno lo sa, se ne accorge, se ne bea. Qualcuno sale fin qui per una mangiata di caldarroste nei ristoranti. O va a funghi all’alba, una questua professionale, senza mai alzare gli occhi. Senza nemmeno respirare, forse: l’aria è profumata.
Un assaggiatore d’aria come ce ne sono dei vini potrebbe stenderne un campionario mirabolante: immaginifico, come si vuole l’assaggio, ma di sostanza. Solo le acque si gustano, ne abbiamo il culto. Di ognuna vantiamo anche le proprietà organolettiche di cui niente sappiano – parliamo la terminologia astrusa delle etichette di acqua minerale.
Non abbiamo niente di nostro, non ce ne curiamo, in un certo senso siamo socialisti. Non francescani, quelli la natura almeno se la godono tutta. Il tipo anarcoide, il solito: quello che non sa quello che fa.

Calabria
All’opera è famosa per un delitto di gelosia. Ruggero Leoncavallo vi ambienta “I pagliacci”, dove la moglie fedifraga e l’amante vengono uccisi in scena. Un fatto di sangue che Leoncavallo visse da ragazzo, nello stesso Montalto Uffugo dove il padre era pretore.
La mafia è recente.

Si può spiantare un pescheto per piantarvi i pannelli solari? A Altomonte sì. Borgo peraltro civilissimo. Si lavora con lo Stato.
Anche il pescheto: era stato pianto con i fondi Ue, per illuminazione di Costantino Belluscio, il politico, segretario di Saragat,

Ci sono dop dell’olio di oliva in tutta Italia, compresi luoghi dove gli olivi sono decorativi, il Garda, la Romagna. Non c’è invece per la Piana di Gioia Tauro, la più grande foresta di al mondo di ulivi giganti. Ma qui non è colpa dello Stato, che anzi la dop avrebbe volentieri riconosciuta.

La rivolta per “Reggio capitale” nel 1971 fu niente a confronto con quella per “Torino capitale”, il 21-22 settembre 1864, dopo la designazione di Firenze a capitale del regno il 15 settembre. La rivolta non c’è nelle storie, ma fece 52 morti, tra dimostranti, anche passanti, e carabinieri: si sparava senza controllo. Più 187 feriti.

Massimo Alvaro ha tra i ricordi del padre Corrado, in una intervista con Mario Procopio del 1977, “un via vai di calabresi in casa nostra”, la sola gente con cui il padre si sentiva a suo agio, “povera gente il più delle volte che aveva dei problemi da risolvere”.Di una donna in età il padre gli raccontò che era venuta a chiedere “se davvero stesse per scoppiare la guerra in Abissina”. Lo scrittore aveva risposto di sì, e la donne aveva commentato: “Peccato che il figlio mio è morto, sennò poteva andare anche lui a guadagnarsi qualcosa”.

Miracolo a Milano
Vacche che fanno latte per 82 anni. È l’ultimo miracolo di Milano. Anche di Torino: sono la Lombardia e il Piemonte le regioni più prolifiche di latte inesistente, per il quale l’Italia ha pagato e paga multe per 4 miliardi, di cui la metà a carico del Tesoro. Sono noccioline, al confronto, gli abusi sull’olio di oliva e sugli agrumi. Che l’Italia comunque non paga, li pagano i colpevoli.
Per una volta almeno, è il Sud che finanzia il Nord, la corruzione al Nord, il malaffare. La cosa infine si sa perché qualche processo infine si fa, dopo dodici anni, e qualche verità viene fuori. Il trucco è semplice: che una mucca possa dare latte per 8,2 anni, tra i 22-24 mesi e i dieci anni, diventa per 82 anni: che ci vuole, una virgola, in meno.
Il “Corriere della sera” dice che “la vicenda delle quote latte si trascina dal 1984 con decine di processi in tutta Italia!”. Lo dice col punto esclamativo ma non è vero: la vicenda si trascina da trent’anni, ma con pochi processi e tutti in Nord Italia. Perché lì si è consumato il delitto. A Cuneo in particolare, e in Lombardia.
Il miracolo è doppiamente nordico, poiché la legislazione europea sulle quote latte, del tutto aberrante, è stata introdotta per proteggere il latte tedesco di bassa qualità da ogni concorrenza. Per sostenere i prezzi si decise di limitare la produzione, invece di prevedere dei conguagli (“integrazioni di prezzo”) come per altre produzioni. Fu per questo deciso nel 1984 di bloccare la produzione di latte secondo le quote nazionali dei mercati nel 1983. Il ministro dell’Agricoltura dell’epoca, Vito Pandolfi, diede per l’Italia una cifra sottostimata (per errore, sosterrà poi, dell’Istat), e l’Italia rimase ancorata a una quota di produzione largamente inferiore ai suoi consumi. Ma perché il latte dev’essere bavarese?

I favori
Con i favori non si costruisce niente. Non una carriera politica, in politica anzi ci si espone, a ritorsioni e vendette – malumori, invidie, calunnie, pettegolezzi. Se uno mi chiede di sveltire (risolvere) una pratica, e la cosa va a buon fine, perché conosco le procedure giuste, invece che riconoscenza nove volte su dieci susciterò indignazione, sospetti di intrigo politico, complicità, favoritismi, e anche accuse.
Il beneficato non è riconoscente, e anzi, se il favore è “consumato”, se il beneficato non ha più bisogno per altre pratiche o favori, tenderà a smarcarsi. Criticando, anche a costo d’inventarsi torti e capi d’accusa, per ricostituirsi una verginità. È l’equivoco maggiore della politica al Sud, dove più si esercita come potere personale, dei favori personali al servizio del potere personale.
Al tempo dei notabili, della borghesia liberale (cioè delle professioni), il rapporto di dipendenza funzionava se continuamente rinnovato. Il notabile non era un concorrente, e quasi sempre non aveva concorrenti, ognuno aveva un suo orto. La politica invece consiste proprio nell’apertura degli steccati e nella gemmazione continua di nuovi poteri – l’aggiornamento, il rinnovamento.
Questo della funzione politica, della rappresentanza produttiva, costruttiva, è il problema del Sud: essere arrivato tardi al parlamentarismo, dopo millenni di signoraggio e vita chiusa nei paesi. Senza le esperienze pregresse delle altre parti d’Italia con forme di autogoverno, nelle repubbliche e i principati. La democrazia non funziona in automatico, al contrario: il voto non implica la capacità di governarsi, e al Sud ne sanziona anzi l’incapacità, pervicace. E non tanto di diffidenza verso lo Stato quanto dell’impossibilità di concepirlo. Se non, appunto, nella dialettica improduttiva della mediazione senza beneficio. Senza beneficio politico, di crescita della fiducia. Reciproca e quindi nei propri mezzi.
Il Sud resta abbarbicato su quella che si chiama attitudine difensiva. Che però, dopo quattro o cinque generazioni di affrancamento, è da considerarsi un rifiuto. Si dice che il Sud è tradito dalla sua classe politica. Ma la sua classe politica lo esprime. A volte, nei paesi, s’incontrano sindaci del tutto inadeguati. Ma girandosi attorno è facile scoprire che non c’è nessuno di meglio.

leuzzi@antiit.eu

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