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mercoledì 12 marzo 2014

La storia inaridisce senza il mito

Una rilettura filologica del mito, dopo quella narrativa di Calasso, “Le nozze di Cadmo e Armonia”: l’Italia, l’Europa, è all’ora del buon tempo che fu, si consola. I miti inventati dai greci, riprovevoli e tutto (Senofane), ridicoli (“illuministi ionici”), matti (Cicerone), scandalosi e corrotti (patristica, sant’Agostino), favolosi (Francesco Bacone), “pure, il loro culto defunto migrerà nella letteratura e nelle arti, e i miti diverranno trame, scene, teatri, musiche, affreschi, tele in tutto l’Occidente, cui a lungo non interesseranno molto, in genere, questi problemi”. Al punto anzi che, smettendoli, come farà a partire dal secondo Ottocento dopo un paio di millenni, si inaridirà.
Già Friedrich Max Müller (1823-1900) si impegnava a spiegare “ciò che nella mitologia greca c’è di stupido, di assurdo e di selvaggio, da far inorridire il più selvaggio dei pellirosse. Lo studioso era figlio di Wilhelm Müller, il modesto classicista che l’Italia aveva deluso, poiché non vi aveva trovato la musica – ma dove l’avrà cercata? il Müller-mugnaio autore della “Bella Mugnaia”, e del temibile “Viaggio d’inverno” di Schubert. Di suo fu inventore delle religioni comparate, e animatore del turanismo, “tutti turchi” – tutti quelli che parliamo lingue uralo-altaiche, cioè turche, nell’ambito del dimenticato panturchismo. Ma non importa: il mito s’imborghesisce, come la religione. È su questo terreno che l’Europa e l’Occidente sono al guado, la secolarizzazione, la piccola ragione.
La materia è vastissima, quasi inafferrabile – John Lemprière, che moriva quando Müller nasceva,  classifica nella “Bibliotheca classica”, che non si è più rifatta,  almeno 14 mila nomi propri, “di cui la metà di mitologici o comunque connessi con la mitologia (gli altri di storia, geografa, letteratura)”, nota Carena. I miti sono il “tronco metafisico poetico” di Vico, attraverso il quale la poesia diventa fisica, cosmografia, astronomia, cronologia e storia, geografia. E sempre vere al fondo, non oziose o oscene: “Non si può dare tradizione, quantunque favolosa, che non abbia da prima avuto alcun motivo di vero”.
La squalifica del mito è recente, di Platone. Fino ad allora, “«mito» è genericamente un racconto, come lo è il logos”, diventa una narrazione falsa con la Sofistica: “È con Platone che mythos diviene un racconto inverificabile e irrazionale opposto a logos, il discorso argomentativo” come poi verrà inteso. L’annuncio “il grande Pan è morto” Plutarco registra più tardi, all’età di Tiberio – omaggio dissimulato al cristianesimo? E tuttavia, per due millenni il mito ha continuato a “fare” la migliore poesia, le arti e anche la filosofia.
Lo studioso, filologo non accademico, se ne riempie ancora i sensi e lo spirito, “della natura genetica del mito; del suo genere misto fra popolare e cortese, teologico e letterario; della sua pregnanza creativa e creatrice nella piena libertà dell’ingegno e dell’animo; della beatitudine che suscita l’abbandonarsi all’ombra di queste fronde folte, estendentisi all’infinito”. Facendosi rivivere roba del calibro di Prometeo, gli Argonauti, Eracle, Edipo, roba che l’“Iliade”e l’”Odissea” sono a fronte quasi poca cosa, e Medea, Fedra, Ifigenia – e Andromaca, Antigone, Cassandra.
Carlo Carena, Il fascino del mito, Salerno, pp. 115 € 8,50

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