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domenica 28 dicembre 2014

La “New Left” a scuola da Travaglio

Curato da due studiosi, il filosofo Nicola Zippel e lo storico internazionalista Arturo Varvelli, collazionando i saggi sull’Italia che Anderson ha scritto per la “London Review of Books” negli ultimo dodici anni, è un’ottima idea editoriale: uno sguardo dall’esterno, di uno studioso della politica, che ha frequentazione e conoscenza diretta dell’Italia. Per una volta fuori dalle insulse bibbie per accumulo che i giornali ci infliggono. Uno sguardo anche per più aspetti vero, senza pregiudizi e fuori dalla disinformazione, che può fare testo a futura memoria. Nei temi di lungo periodo e nei particolari. L’implosione del Pci. Berlusconi come effetto dell’implosione e del nuovo corso della politica, tutta immagine e comunicazione. La deriva autoritaria della presidenza della Repubblica, da Scalfaro a Napolitano. Il peso soverchiante (visto attraverso Mauro Calise, “Fuorigioco”) della comunicazione nella nuova politica sull’organizzazione di partito. Con pochi pregiudizi, effetto peraltro, probabilmente, della storia della Repubblica alla Ginsborg, da travet di partito - e del vezzo inglese di buttare la merda al piano di sotto.
Il principale è la sottovalutazione del Psi, prima di Craxi e con lo stesso antipatico Craxi, nella modernizzazione dell’Italia, fino al referendum contro la scala mobile – il partito Socialista è tutto in una nota, di sei righe, meno che per Gianni Amelio. Un ruolo che spiega l’accanimento della Procura dell’andreottiano - presto scalfariano - Borrelli contro lo stesso Psi. Anderson fa di Craxi un arricchito e un corrotto: in cambio di una legge pro Berlusconi “ricevette un bonifico di 12 milioni di dollari su un suo conto estero”, “le rivelazioni di Tangentopoli mettevano in luce l’entità della sua corruttela”. Cose non vere. E sceneggia un “passaggio delle consegne” da Craxi a Berlusconi che è da commedia dell’arte da avanspettacolo – “vieni avanti, cretino!”
A tratti fa peprfino subodorare il sinistra-destra equivoco, del trozkista-fascista. Travaglio lo affascina al punto da dichiararlo “il miglior giornalista d’Europa”. Nessuna tara fa a un’opinione pubblica malsana e deviata, di padroni surrettizi e di redattori “bene informati”. Quando l’onesto Ciampi promulgò la legge di Berlusconi sulle immunità per le alte cariche dello Stato, “degli angosciati appelli al lume di candela proveniente dalla strada lo pregavano di non farlo”. A questo punto uno si aspetta i fax che Visco si mandava per inneggiare alle sue tasse. Un marxista “travagliato” è quanto di più pernicioso possa occorrere. Anderson finisce per non capire quello che dice: “Quando la Seconda Repubblica muoveva i suoi primi passi, l’Italia godeva ancora del secondo più alto Pil pro capite a parità di potere d’acquisto  tra i maggiori paesi Ue, dietro solo alla Germania: una qualità della vita in termini reali superiore a quella di Francia o Regno Unito”. 
Ma più che altro Anderson conferma che a certi buoni spiriti, ancorché studiosi del potere, si può vendere di tutto. Anche un girotondo con quel galant’uomo di Di Pietro. Anche di Andreotti, non solo di Travaglio, subisce la fascinazione che ne hanno subito Valentino Parlato e buona parte del “Manifesto”. Per poi lasciarsi sfuggire i processi, in contemporanea,  a Milano e Palermo, seguiti con particolare cura dall’ambasciata americana a Roma, a Craxi e Andreotti, gli unici due uomini di governo che avessero azzardato un minimo di politica estera nazionale. Una coincidenza che a uno studioso del potere non doveva sfuggire. La stessa ambasciata che poi creerà il culto di Di Pietro negli Usa, con inviti, seminari, lauree, tutto quelo che ci vuole per una incoronazione. 
Sul lavoro invece si siede, sulle vecchie trincee ormai abbandonate. Arriva alla conclusione di Arrighi, della “indocilità del lavoro” in Italia, trascurando il referendum contro la scala mobile, e la liberalizzazione selvaggia del lavoro, per la metà o poco meno in “nero”. Sopravvalutando una protesta che è quasi tutta nella capacità organizzativa della Cgil, grazie al finanziamento ricco del sindacato, fine a se stessa, con la mobilitazione di masse anche di milioni, in gita a Roma, a nessun fine e senza effetto. L’amnesia è totale sulla marcia dei Quarantamila a Torino, contro Berlinguer che incitava all’occupazione della Fiat (Berlinguer incitava all’occupazione delle fabbriche, nel 1980). Non c’è nemmeno il compromesso storico. C’è un parallelo tra l’Italia e la Francia della Quarta Repubblica, cui l’Italia repubblicana perennemente si ispira, ma non il compromesso. “Con gli anni Ottanta”, dice, il Pci era entrato nel sottogoverno. No, con gli anni Settanta, con Andreotti e Moro - Curzi a Telekabul, Zorzoli all’Enel, etc. Fa differenza? Molta. Non c’è la crisi monetaria e economica del 1992 – per gli errori della politica monetaria stessa, della Banca d’Italia, cioè di Ciampi, che aveva sopravvalutato la lira. Non c’è la valanga dei licenziamenti, circa due milioni in un paio d’anni, che succedette alla crisi del 1992 , per effetto anche della globalizzazione, imposta senza transizione. Non ci sono i referendum, per la giustizia, contro la scala mobile appunto, per le tv libere (di Berlusconi). Mentre ci sono curiose leggerezze. I conteggi di Viroli, “La balla della lentezza (del Parlamento): una legge ogni dieci giorni”. Che è una balla: ci sono voluti vent’anni per modificare il regime delle pensioni, non sono bastati venti per definire i rapporti Stato-Regioni, ce ne vorranno di più per modificare il mercato del lavoro (modificarlo legalmente, perché il mercato è da tempo selvaggiamente non protetto, in nessun modo), si fanno da un ventennio leggi elettorali abborracciate, all’ultimo minuto, per non saperne fare una giusta.
Opera non di storico dunque, né di filosofo. Ma sicuramente il reportage politico più onesto del ventennio, meno prevenuto. A partire dalla questione centrale, che Anderson enuclea nel capitolo finale, scritto per accompagnare la raccolta: la ricetta suicida dell’Europa dell’euro, che vuole contrazione della spesa, pubblica e privata, taglio del welfare, taglio della Funzione Pubblica, “e la riparazione dei debiti sulle spalle degli Stati membri della periferia della Ue”. Una perversione difficile da immaginare. A esito semplice: a metà 2014 il pil europeo è ancora inferiore a quello del 2008 – l’unica area in crisi al mondo, si può aggiungere. Manca quello che più ci si aspettava dall’animatore della “New Left Review”: il significato della “ristrutturazione” europea, magari con un occhio alla globalizzazione. Ma losservatore è sempre all’erta nei particolari. Draghi Kaisertreu, il banchiere del re – nel suo caso regina, benché mediocre: Angela Merkel. La Procura di Milano agita da un giudice Pci, D’Ambrosio (ma anche Colombo), e uno Msi, Davigo (ma anche Di Pietro). E un singolarissimo panorama della corruzione al vertice della politica europea,  in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna peggio che in Italia: della corruzione in senso proprio, compravendite del potere, per lucro personale. Oltre all’ovvia desolazione della giustizia – che è sotto gli occhi di tutti, ma bisogna dirla.
Il primo capitolo, la  ricostruzione dell’operazione Mani Pulite, col crollo della Prima repubblica, è da antologia: la più informata e acuta. “La caduta del sultano”, il quarto capitolo, è analizzata in controluce sulla corruzione in Europa, appunto, e sulla deriva autoritaria del Quirinale. Un capitolo affascinante, brechtiano: di presidenti e primi ministri stipendiati – il presidente del consiglio italiano, che andava solo a puttane, coi soldi propri, ci fa una meschina figura. Questo nella virtuosa Europa. Mentre in Italia impazzano governi del presidente, governi non eletti, di banchieri, uomini d’affari e tecnocrati, Camere sciolte d’autorità, giudici, banchieri e giornalisti che licenziano i governi eletti.
La raccolta finisce male, purtroppo, col capitolo scritto appositamente. Anderson annega Renzi sotto il solito sinistrismo salvacoscienza, al profumo di britannico snobismo – sotto i luoghi comuni.  Entrando in argomento con un errore rosso: lo chiama primo ministro. Renzi è il presidente del consiglio. Non ha nessuna autorità, se non quella della mediazione ininterrotta, sfiancante: non quella dei primi ministri della tradizione inglese, di decidere, e nemmeno quella del cancelliere tedesco, di chiamare le elezioni. Non nomina i suoi ministri, e non può dimetterli. Non governa la legislatura. È qui la disfunzione dell’Italia: la debolezza della Funzione Pubblica, welfare compreso, l’eccesso di corruzione, l’avventurismo a premio di giudici, giornalisti e affaristi, talvolta in veste di editori e saggi della Repubblica. Il governo in Italia è soggetto ai briganti di passo. La minaccia è sotto gli occhi di tutti ma irrimediabile: sul rafforzamento dell’esecutivo una strana unanimità si crea, dall’“Economist” a Rodotà, che lo accula a Mussolini, oppure a Gelli. Non ha senso paragonare Renzi a De Gaulle, né a Margaret Thatcher. Non ha senso condannare Renzi nel suo partito. Forse non sarà il De Gasperi della terza Repubblica, ma nel suo partito ha fatto un miracolo, le sconfitte a ripetizione trasformando in una vittoria, su cui magari costruire una forza. E chi sono i suoi nemici nel partito, cosa propongono? Perry, ancora uno sforzo: lamata Italia è veramente un quaderno aperto.
Perry Anderson, L’Italia dopo l’Italia, Castelvecchi, pp. Pp. 185 € 17,50

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