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martedì 30 dicembre 2014

Il mondo com'è (200)

astolfo

Andreotti - Ha avuto i momenti migliori nel confronto con i comunisti. Da segretario di De Gasperi, e poi da presidente del consiglio, specie nei suoi primi governi, degli anni 1970.
Sono anche i suoi momenti di gloria, nel perdurare di una matrice postcomunista dell’opinione pubblica e della storiografia, poiché fu avversario onorato dai comunisti. Forse più di Moro – santino postumo.
Fu onorato anche dai comunisti eretici del “Manifesto”, d Parlato se non da Rossanda e Magri. Se ne sdebitò a modo suo, con uno dei tanti piani di risanamento del quotidiano, quello finanziato da Cesare Geronzi una quindicina di ani fa.
Il processo a Palermo per mafia non gli fu intentato da Caselli, cioè da Violante, cioè dal Pci. Ma da Lo Forte e Schiacchitano, due (ex) Dc, che il loro capo ufficio a Palermo Rocco Chinnici, poi fatto saltare in aria dalla mafia, spregiava come manutengoli del peggior potere democristiano negli Uffici giudiziari – Lo Forte, ora Procuratore Capo a Messina, e concorrente solo sfortunato alla Procura di Palermo, sarà criticato anche nel diario di Caponnetto, il giudice coraggioso che sostituì Chinnici, come uno degli ostacoli all’azione di Falcone e di Borsellino (Chinnici, nel diario ritrovato nel suo computer, imputava al magistrato, con pessimi epiteti, la mancata attuazione di certe indagini: “Sciacchitano e Lo Forte della Procura”, annotava in data 30 marzo 1979, “emissari del grande vigliacco e servo della mafia Scozzari”).

De Gasperi – Rivive sempre in oleografia, buono a tutto e un po’ melenso, mentre è l’uomo delle scelte radicali, fino a quella sfortunata del “maggioritario”. Uno che sfidava invece di “confrontarsi”. Inoltre, aveva a sottosegretario Andreotti. In una sorta di sub-partito vaticano, ma non immune all’astuzia del giovane tuttofare.
Andrebbe quindi rifatto anche “astuto”, come il suo aiuto. Ma di un’astuzia allora disincarnata. Fredda, non esibita, al contrario di Andreotti che se ne è sempre compiaciuto. Di un’astuzia che viene, essa sì, dal Vaticano, pratica e non abulica.

Fascismo – È morto, si è sempre detto, era una parentesi nella storia, non aveva cultura e quindi non aveva radici, e quasi lo si riduce a un regime terrorista. È la tesi dell’antifascismo. Non è sbagliata ma non è la verità.  Del fascismo – a maggior ragione del nazismo. Entrambi movimenti di massa, e quindi democratici – il nazismo perfino legalitario nell’accesso al potere. Le tesi opposte argomentano che il fascismo è un corpo senza testa. E un errore degli italiani. La follia di un breve tempo. Era anzi, non è.
È tesi minoritaria, di Noventa e pochi altri, che il fascismo al contrario si radica nella storia e della cultura dell’Italia – è il peggio della migliore Italia, argomentava Noventa. L’evidenza è minoritaria tra gli storici anche perché esclusa dalla teoria e tattica di Togliatti. Ma è comprovata dall’evoluzione disinvolta delle masse padane e cispadane, a ridosso dell’Appennino tosco-emiliano: socialiste negli anni 1910, poi fasciste, e dopo la seconda guerra comuniste. Ancora nel 1996 sessantamila nel Mugello fiorentino andarono compatti alle urne, sacrificando una domenica, obbedienti all’ordine del Capo D’Alema, a eleggere senatore Di Pietro, che non nascondeva le simpatie “sociali” per il Movimento Sociale. Ora scalpitano di diventare grillini. In alternativa, tentano di farsi Capo Matteo Savini – Matteo Salvini?

Internet – La connettività è l’uguaglianza delle culture, le storie, le idee, le opinioni. Al livello necessariamente più basso o distratto. Un livellamento che equivale a una cancellazione radicale – è la famosa tabula rasa. Una piazza, che fa però “piazza pulita” di ogni criterio di validità o valore, anche di intelligenza, dovendosi posizionare sull’accettazione di tutto. E inevitabilmente rovescia anzi i giudizi di valore, dal più e meglio al meno e peggio. In una con l’inculturazione o intercultura, che per cui il fish ‘n chips è buono come le lasagne. E anzi meglio, perché no.

Piagnonismo – C’è un’evidente sproporzione di linguaggi tra la Rai – tg e radiogiornali – e le altre emittenti. Che saranno, come si favoleggia, e come la Rai sostiene in buona coscienza, impostate su una visione falsa della realtà, ma ci risparmiano le geremiadi sulla povertà, il bisogno, la malattia, la sofferenza, per cui alla fine di ogni trasmissione bisogna dardi una prova di vivenza. Un linguaggio forse  impegnato ma non veridico, e anzi artato – nemmeno impegnato peraltro, le telegiornaliste amano inalberare mises inverosimilmente complicate e costose. Derivato probabilmente, poiché la Rai ha un pedigree democristiano, dalle sacrestie. Da un confessionalismo che vuole tutti penitenti per farsi perdonare i suoi peccati. Ma ora monoliticamente democrat – non da ora, dai tempi di Veltroni.
In questa congiunzione, è comunque chiaro che la sinistra è piagnona. Usava riunirsi al circolo e nelle balere e ballare e bere, le ragazze soprattutto si segnalavano per essere di mente sgombra, ora non più. Molte elezioni sono state lasciate a Berlusconi che altro non proponeva che un po’ di fiducia - e perfino il partito dell’amore, prima di Ruby. La sinistra forse più che la Rai è luttuosa – triste, pessimista. E si vuole moralista, cioè falsa – la sessuofobia è nella mente della donna di sinistra. È vendicativa: personifica il nemico, odia le persone.
Non è ottimista, ecco dov’è l’inganno: non si cura, se non per stereotipi, non apre porte né orizzonti, non libera.

Plebiscitarismo – Ha destabilizzato la politica, invece di stabilizzarla. Era inteso a evitare le crisi di governo ricorrenti, la frantumazione dell’azione di governo e della legislazione, la loro delegittimazione. Invece ha moltiplicato il potere di ricatto dei piccoli e piccolissimi, fino a ridurre  corpi eletti, il Parlamento, i consigli regionali e comunali, all’inerzia. Per leggi elettorali sbagliate, ma soprattutto per l’equivoco del mandato di rappresentanza personale e non politico (partitico).

Ha fallito anche per la concomitanza mutazione della politica, dall’organizzazione alla mediatizzazione.  Alcuni soggetti politici ne hanno tratto profitto (in Italia Berlusconi, Grillo), altri ne sono rimasti a lungo vittime (i litigiosissimi democrat: l’ironia non “buca” lo schermo). Ma agli uni e agli altri il voto plebiscitario non ha agevolato la funzione politica, di governo. Per una debolezza della stessa mediatizzazione. i governi, anche quando restano in carica per la legislatura, diventano subalterni ai sondaggi, ai media, allo scandalismo più trito, e quindi portati all’inerzia. Ma più per la personalizzazione che il regime plebiscitario implica, finché dura la pregiudiziale che la rappresentanza è personale. In Italia è il caso del mandato elettivo quinquennale dei sindaci e i presidenti di regione. Che non hanno migliorato il potere decisionale, per il meglio o per il peggio, e sono più che mai soggetti ai condizionamenti, fino al ricatto, degli interessi più particolari e minoritari.

L’esigenza tuttavia sempre riemerge, perché è ormai la prassi consolidata in tutti i regimi democratici, vecchi e nuovi, anglosassoni e iberici, della Francia e dell’ex Unione Sovietica. Nella stessa Italia, tirando le somme, l’opposizione reale alla funzione di governo forte è solo degli ex Dc, per la non disprezzabile avversione al centralismo, ma anche per l’inveterato vizio della Dc post-fanfaniana di governare non governando – Pannella direbbe sgovernando (fascismo sfascismo…) : creare potere contrattuale attraverso il rinvio, la parcellizzazione, l’emasculazione.

astolfo@antiit.eu

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