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mercoledì 25 marzo 2015

Il mondo com'è (210)

astolfo

Berlino - “Matrigna delle città russe”, la dice Nabokov - come di tutto l’Est.
Bisognerebbe conoscere la Russia, anche per capirne la tristezza.

Guerre civili europee – Non c’è altro continente che ne abbia combattuto, e ne combatta, tante. Sarà effetto della densità della popolazione, ci pestiamo i piedi?. Ma anche l’Asia, benché spaziosa,  è densamente popolata. Sarà l’effetto dell’istinto competitivo? Ma c’è di più competitivo che gli americani, o i cinesi? Sarà un dato caratteriale, un fondo di violenza innato, come la lingua. Alimentato magari dall’inbreeding, non tanto fisiologico quanto culturale: il culto dell’ombelico.
La storia di questi ultimi vent’anni dopo la caduta del Muro sarà stata una storia di infamie, un segmento speciale e diffuso. La Jugoslavia per prima, con dieci anni, poco meno, di guerre civili, volute, innescate, e armate dall’Europa. Subito poi l’Ucraina. Per volere di personaggi poco qualificati, Sarkozy, Angela Merkel, i polacchi senza nome.
Si dice l’anarchia conseguente alla mancanza di leadership, la Germania rifiutandosi di esercitarla. In realtà la esercita, ma al modo di Angela Merkel, troppo poco troppo tardi, cioè sempre il peggio.

Femminicidio – Già Aristotele lo sconsigliava, dice Machiavelli nei “Discorsi”, Libro Terzo, XXVI (“Come per cagione di femine si rovina uno stato”), 10: “Aristotile, intra le prime cause che mette de la rovina de’ tiranni, è lo avere ingiuriato altri per conto delle donne, co sturarle, o con violarle, o con rompere i matrimoni”.
Più “di questa parte”, minaccioso, Machiavelli dice di aver detto al capitolo sulle congiure. Ma al cap. VI dello stesso libro (“Delle congiure”) non ne ha parlato, giusto per dire che “l’onore delle donne” viene subito dopo quello del sovrano. 

Machiavellismo – Machiavelli non fu machiavellico, si sa: non all’origine dell’aggettivo - e neppure, da qualche tempo, più imputato. Fu arma protestante contro le potenze cattoliche. Machiavellica? I protestanti non avevano letto – non ne è rimasto commento – Machiavelli.
Di Innocent Gentillet, calvinista, non è rimastra traccia. E di Federico il Grande di Prussia, del suo “Anti-Machiavelli” – molto lavorato anche da Voltaire, il “negro” del sovrano - la lettura si ripropone come esemplare del “machiavellismo”.
Non si pratica molto da qualche tempo in Italia, nemmeno come offesa. Leopardi ha un “machiavellismo di società”, ma non ha fatto presa. Fu esercitazione di scrittori cattolici, Campanella compreso, nel secondo Cinquecento, che dello scrittore Machiavelli temevano il fondo materialista. 

Pluralismo – Hannah Arendt elaborò il concetto in chiave di democrazia di base, di allargamento della democrazia. Una valvola di sviluppo della libertà politica e dell’uguaglianza sociale. Una forma di “inclusione dell’altro”. Che però non riteneva favorita né garantita dalla istituzioni costituzionali, dalla democrazia rappresentativa. Un pluralismo efficace sarebbe venuto, argomentava, con i consigli e ogni altra forma di democrazia diretta.
Norberto Bobbio lo ha introdotto in Italia riducendolo all’alternanza di governo. Nel solco giolittiano dell’allargamento sociale del potere. Ma sostanzialmente un tributo al Pci, che poteva essere “diverso”, nel “compromesso storico” con la Dc. Solo obiettava alla pretesa comunista di “egemonia”. Non culturale, che in fondo accettava, ma politica.

Tunisia – È un caso di involuzione borghese. Non eccezionale: tutte le “primavere arabe” sono a vari livelli un’automutilazione delle borghesie – urbane, professionali, commerciali. Ma quella tunisina più di tutte, e anzi totalmente.
“La Tunisia si presenta” campeggia a Roma a piazza Venezia sul Vittoriale: una mostra per dire la modernità e la simpatia del piccolo paese. Che fu tra i primi paesi colonizzati ad arrivare all’indipendenza nel 1956, con il movimento indipendentista moderato Neo Destur. Con una modesta rendita petrolifera, ma con una larga classe dirigente, dei Nouira, dei Mestiri, dei Gannouchi, e una leadership, dei Burghiba-Ben Ammar. Molto legato all’Europa. All’apertura del  Ramadan, il mese del digiuno, Burghiba, presidente laico, diceva una preghiera e spiegava che chi lavora può bere, e se necessario nutrirsi anche durante il giorno. Nel mentre che restaurava le grandi moschee di Kairuan, al centro del paese.
Un paese povero  ma dignitoso, e organizzato. Protagonista di una politica mediterranea dell’Europa che fu quasi un “allargamento” al Sud – fu la prova generale, sfortunata, di quello che si sarebbe poi realizzato trent’anni dopo a Est.  Con una produzione agrumicola e olearia integrata a quella europea, siculo-calabrese. I suoi ebrei non disturbavano. Gli investimenti stranieri erano benvenuti, nel turismo, nell’immobiliare, nell’agroindustria. I tunisini emigrati erano modesti e laboriosi, e ovunque bene accetti, da Mazara del Vallo alla Bretagna. Un paese del Terzo mondo che tra i primi avrebbe potuto approdare al benessere. Col turismo, la pulizia, la socievolezza, e anche un principio di industrializzazione. La lavorazione per terzi, di pelletteria e abbigliamento debuttò in Tunisia, prima che in Marocco, in Romania e Turchia.
Il fondamentalismo religioso è arrivato per reazione, di un nazionalismo male inteso, come antitesi all’Occidente, all’Europa confinante. Di una reazione, però, borghese – non classista, non di popolo. Altrove è un episodio della democratizzazione: delle masse popolari che si sostituiscono, al seguito di demagoghi, al costituzionalismo,  cioè alla borghesia urbana. Dall’Iran via via all’Egitto di Morsi. In Tunisia è stato un inviluppo interno alla borghesia, per un’autocoscienza male intesa.
Il velo, scomparso per decenni dalle città, è stato reintrodotto dalle giovani universitarie. Delle grandi famiglie, i Mestiri, i Ghannouchi – Yusra, la figlie prediletta del patriarca Rashid, ne è l’alfiere. Così come l’abbandono del bilinguismo, a favore del’arabofonia: è stato voluto dai giovani colti, affluenti. Tutto naturalmemte con l’ambizione di domare l’islam. D’instaurare una “democrazia islamica” all’insegna delle democrazie cristiane europee. Un po’ come con Erdogan in Turchia: un corpaccione politico di centro. Ma senza la capacità di potere e di controllo.

Ucraina – Suona a Santa Cecilia a Roma il pianista Alexander Romanovski. Giovane, applaudito, triste. È ucraino, russo. Si capisce come l’Europa “democratica” abbia rovinato un popolo, milioni di vite, diecine di milioni di vite. Per niente, non c’è nemmeno niente da rubare in Ucraina. Per stupidità. Si vorrebbe dire per malvagità, ma non c’è nemmeno quella. Angela Merkel non è malvagia. Obama lo è? no. O Donald Tusk, o come si chiama l’imperdibile polacco che sempre ci mette nel sacco.
Al programma di sala che gli sottopone il “questionario di Proust”, alla domanda “La sua idea dell’infelicità?”, l’infelice Romanovsky risponde: “Vivere una guerra circondata da tante menzogne come oggi succede in Ucraina”. Altro che libertà.

astolfo@antiit.eu 

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