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sabato 28 marzo 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (240)

Giuseppe Leuzzi

Nell’evocazione che Felice Cavallaro è riuscito a proporre sul “Corriere deal sera” delle donne attive e decisive quaranta e trent’anni fa a Palermo contro i Riina - le Battaglia, Giuliana Saladino, Lina Colajanni, Rosanna Pirajno - il nome di Simona Mafai esce come Mafia. Ci è nemico anche il proto - è nel dna del giornale, delle sue macchine, che al Sud c’è solo mafia?
Come capogruppo del Pci al Comune di Palermo dal 1980, Simona Mafai aveva impegnato il partito principalmente nella lotta alla mafia, negli appalti e nella Pubblica Amministrazione.

Il Sud è diverso
Nel racconto di Borges dallo stesso titolo, “il Sud” è “lasciarsi semplicemente vivere”. Al protagonista che ci arriva in treno “tutto era vasto, però nello stesso tempo era intimo e, in qualche modo segreto”. “Diverso” è “anche il treno”: “La distanza e le ore lo avevano trasfigurato”. Un altro mondo: “La solitudine era perfetta e alquanto ostile, Dahlmann poté sospettare che viaggiava al passato e non solo al Sud”. Il Sud è anche passatista (questo è discutibile: è solo indifeso, aperto a ogni contagio). Alla prima tappa al Sud, provocato all’osteria, per un puntiglio di onore il viaggiatore si fa uccidere.
Un insieme di luoghi comuni, ma suggestivi. Sinceri. È Borges che s’immagina morto in “El Sur”, di mano meridionale, violenta – “forse il mio miglior racconto”: Borges si sognava libero dall’intelligenza fantastica, un peón libero nella pampa.

Il rispetto-di-sé
“Un Comune, quello di Roma, nel cui Consiglio sono ormai decenni che non mette più piede quasi nessuna persona disinteressata, appartenente all’élite sociale e culturale della città, desiderosa di offrire le proprie competenze, vogliosa di impegnarsi per il bene pubblico. Niente: da decenni quasi solo vacui politicanti di serie B, faccendieri, proprietari di voti incapaci di parlare italiano, quando non loschi figuri candidati a un posticino a Regina Coeli”. Non lesina Galli della Loggia sul “Corriere della sera” giovedì gli improperi contro Roma. A che effetto? A nessun effetto: sono cose che i romani sapevano da tempo.
Lo storico non fa eccezione, Roma è città vituperata. Ogni giorno. Per un vezzo del “Messaggero”, che le cronache romane dei giornali milanesi, “la Repubblica”  (si fa a Roma ma si vuole “milanese”, padana, diceva Scalfari) e il “Corriere della sera” ripetono. Tutto il peggio vi succede, riferito a Roma: mafie, corruttele, malasanità, abusi, sporcizia, buche. La città se ne cura ma non ne fa un dramma, va avanti come sempre, e resta la metropoli meglio amministrata d’Italia. Meglio cioè di Milano, l’altra metropoli italiana – la terza metropoli, Napoli, è fuori concorso.
Galli della Loggia, storico contemporaneista, sa che questa è la Seconda  Repubblica, quella che ha voluto fare a meno della politica, a vantaggio di giurisperiti, banchieri d’Italia, presidenti della Repubblica per grazia divina, tecnocrati, e altri uomini della Provvidenza, incensati dagli affaristi (i media). Lo dice anche, indirettamente: “Del resto non è a un dipresso così dappertutto? L’Italia del federalismo e dei «territori» non è forse, con qualche eccezione, tutta più o meno nelle mani della marmaglia?”. Ma per farne una colpa al Pd – di suo limitandosi allo sdegno: “Serve il lanciafiamme”.
Lo storico non fa eccezione anche perché chiunque esca di casa a Roma la mattina lo ha già visto di suo. Dopodiché? È anche vero che Roma spesso si avvicina al baratro napoletano: per la circolazione, la pulizia, la criminalità. Ma sempre se ne ritrae a tempo. E resta la meglio amministrata in Italia. Al livello delle città europee con cui si compara, Berlino, Madrid. Ma riuscendo a venire a capo di molte difficoltà specifiche: l’enorme estensione urbana, il tantisssimo verde, l’enorme centro storico e monumentale. È più pulita di Milano. Ha meno buche per strada. Ruba meno: la corruzione vi è diffusa, ma popolare e quasi democratica, egualitaria, e la sommatoria è poca cosa. Ha scuole migliori – gli asili nido e le materne anzi di lusso. Ha una sanità più efficiente. Perfino della Toscana, che si vanta efficientissima. Ha trasporti pubblici insufficienti, ma sa lo stesso muoversi anche se ormai circola un’automobile per ogni abitante. E i pochi mezzi pubblici ha più efficienti, pendolari, metro, tram, bus. Gestisce, con tre milioni di residenti, un milione di ospiti: politici, ecclesiastici, turisti. S’immagini una Milano con in più solo i torpedoni dei turisti. E mantiene a ottimi livelli di qualità una vocazione pluridisciplinare unica: è città religiosa, politica, amministrativa, universitaria, commerciale, industriale, tecnologica.
La cosa non è rilevante per farne il panegirico. Ha ragione anche chi se ne lamenta. La cosa si segnala perché tanta critica e autocritica, anche cattiva, anche spropositata, non ferma la città. Cha appunto sa cavarsela, e anche progredire – è una delle poche grandi città europee in crescita. Come? Con la fiducia in se stessa. Cresciuta nei secoli naturalmente, ma anche attraverso secoli bui, di spoliazioni e abbandono, che sono stati lunghi. E pur essendo città di meteci - oggi di abruzzesi, calabresi, umbro-marchigiani (si dice che i soli romani antichi siano i suoi ebrei, che sono poche migliaia).
La storia c’entra, ma solo in quanto ha consolidato il rispetto-di-sé. Un fondo di fiducia, un minimo anche, ma un substrato ineliminabile di ogni esistenza. Il Sud “non esiste” perché sommerso dall’odio-di-sé.
Il rispetto-di-sé non è una ricetta e non è l’opposto dell’odio-di-sé. Ma ne è l’antidoto. Non bisogna passare naturalmente sopra a tutte  le cause, siano anche non motivate, che alimentano l’odio-di-sé, ma la sua forza demolitrice va contrastata e lo strumento migliore non è tanto il successo o l’apologia, quanto la forza interiore – la coscienza-di-sé.

Napoli
C’è, c’è  stata, un’associazione a delinquere nel calcio: tra i dirigenti della Juventus e un solo arbitro. Per una partita che non interessava la Juventus. Si stenta a crederlo, ma è quanto sostengono i giudici in otto gradi di giudizio, Cassazione compresa. Poi si scopre che sono tutti di Napoli e dintorni, la terra dei miracoli.

Di Calciopoli Moggi può dire, il maggior “colpevole”: “Abbiamo scherzato per nove anni, il processo si è risolto nel nulla, solo tante spese”. Nel nulla no: Narducci è procuratore capo, Beatrice in Cassazione, un paio di giornalisti direttori, e il tenente colonnello generale. Una sua logica la città ce l’ha: Napoli-Torino 5-0. Ma a quale partita?

Va il papa Francesco a Napoli e fa il napoletano. Da subito, si traveste in pochi minuti. Ma ai napoletani la macchietta piace, il cardinale Sepe – per la verità di Caserta – ci guazza.

Gli ultimi tre papi napoletani hanno fatto sfracelli, Bonifacio IX, Giovanni XXIII, quello di Procida, e  Paolo IV Carafa, quello del ghetto.

Rapina e inseguimento a Ottaviano. Tra i rapinati, con concorso di pubblico via via sulla strada, e i rapinatori. L’inseguimento si fa come al cinema, con macchine veloci, svelte, blocchi, sorpassi, deviazioni,  e l’impatto finale. I ladri, che intanto hanno ucciso uno dei due rapinati e ferito grave suo fratello, sono ricoverati per primi in ospedale e se la caveranno.
I carabinieri intervengono all’ultimo, a western finito, perché il piantone agli ospedali deve prendere le generalità dei ricoverati. Ma sono carabinieri anche i rapinatori assassini..

La prima notizia dell’evento sarebbe che i rapinatori assassini sono carabinieri dei reparti speciali. Ma niente si dice di loro. Dei rapinati si dice invece, subito, che sono stati inquisiti, “qualche tempo fa”, per riciclaggio. E assolti evidentemente, ma non si dice. Lo dicono, cioè non lo dicono, i carabinieri.
Si saprà solo per caso, molto più tardi, che uno dei carabinieri felloni, il basista locale, era stato trasferito a Chioggia per motivi disciplinari. Certo non riciclava. O sì? Comunque non era un camorrista. O sì? Ma non bisogna chiederlo ai carabinieri: al Sud sono una tomba.

Si viaggia nelle periferie napoletane tra cumuli di spazzatura. La quale però ora, da qualche tempo, viene ritirata regolarmente. Questi sono cumuli autarchici, spontanei: la gente fa volentieri un breve viaggio in macchina per lasciare rifiuti ingombranti non nel suo quartiere.

È straordinaria la prosopopea della nobiltà napoletana, tutta naturalmente antica, non recente, non degli affari, cioè povera, diventata la cifra della città, e quindi della sua borghesia, soprattutto quella intellettuale. In un’epoca ormai lunga quasi un secolo, a partire dal laurismo, in cui la città è preda dei lazzari. Non per caso: la superbia era per questo un peccato capitale.

Straordinaria è anche l’operosità del ceto medio produttivo, anch’esso vecchio ma vivo. La costanza dell’operosità, anche fare il piccolo ambulante a Roma, cinque ore di treno ogni giorno. L’inventiva sempre fertile. Che viene pervicace a capo dei tanti handicap e ritardi imposti: le mafie, la corruzione, la neghittosità. Artigiani, soprattutto dell’abbigliamento (compresa l’ingegnosissima lavorazione à façon da Saviano – o chi per lui – incongruamente vilipesa), cuochi, camerieri, ristoratori, direttori d’albergo, librai, figurinai, cantori, mimi, attori, virtuosi della finanza. Incomprimibile. Incoercibile. Napoli ce la mette tutta per soffocarli, ma loro niente.

Da Bocchino a Di Maio, e lo stesso De Magistris, Napoli si è specializzata a sfornare politici belli in qualche modo e forbiti, di quelli che “bucano lo schermo”, non fanno mai niente, a scompaiono alla prima elezione. Non se ne può fare colpa alla città, che non se ne può difendere. Bisognerebbe instaurare delle primarie cittadine per chiunque si proponga a parlare in nome della città, un esame d’ammissione.

C’è un porto enorme e vuoto, a Napoli. Commissariato. Di cui la città non sa nulla e non si occupa.

leuzzi@antiit.eu

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