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lunedì 23 marzo 2015

Machiavelli non è niente

“Un povero diavolo”. Carl Schmitt non si occupò molto di Machiavelli (che lui scrive con due cc) -  proprio lui, che tanto ci teneva all’ “autonomia del politico”, ma il pregiudizio può essere forte. Schmitt è vittima del pregiudizio antipapista dei protestanti, che per le potenze cattoliche inventarono il neologismo “machiavellico”. Lui, papista e antiprotestante, ne fa colpa allo stesso Machiavelli, in questa mezza dozzina di paginette, che sono l’unica volta che se ne occupò – se ne occupò una seconda volta, in “Cattolicesimo romano e forma politica”, ma per criticarlo con asprezza, anzi per deriderlo. Le scrisse per i quattrocento anni della morte, ma giusto a recensione di un’antologia machiavelliana del suo sodale, in diritto e in cattolicesimo, Herman Hefele, e suo estimatore. Meravigliandosene: “Non un grande statista né un grande teorico”. Uno che “passò gli ultimi 14 anni della sua vita in campagna in una piccola casa sulla strada da Firenze a Roma. Con i proventi  di un piccolo agricoltore pensionato, e nell’insieme come un povero diavolo che tentava invano di rifarsi una carriera politica. Questa è la situazione in cui entrambi i testi politici che ne hanno fatto la reputazione sono nati”. Tutto qui.
Schmitt non vede in Machiavelli il patriota, l’umanista, lo scienziato politico. Nemmeno il letterato quale ambiva essere. Non gli concede “una teoria dello Stato”. Ne apprezza l’“onestà” e spiega che l’autore del “Principe” non era machiavellico. Ma dice anche che non è uno col quale sosterrebbe una discussione filosofica. Salvo poi, “machiavellicamente”, farsi vittima dopo la guerra minimizzandosi, allo stesso modo come aveva minimizzato il segretario fiorentino, al punto da chiamare San Casciano il suo buen retiro a Plettenburg, il paese dove era nato, dopo la denazificazione.
Anche “Il Principe” non è nulla. Non è nemmeno immorale: “Questa «immoralità» non viene ostentata e non mostra pretese di intervenire in campo morale bensì rimane sobria e modesta, e non ha nulla del carattere entusiastico e profetico dell’immoralismo di Nietzsche”. Ma, certo, Schmitt è di più. Giuseppe Cospito, che cura l’opuscolo, s’ingegna di enucleare un “inatteso terreno d’incontro” tra Schmitt e Gramsci, per quanto ignari l’uno dell’altro – forse perché Gramsci ha analizzato Machiavelli e Schmitt no?.
Carl Schmitt, Macchiavelli, il melangolo, pp. 51 € 5

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