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lunedì 29 giugno 2015

L'impero imposto ai tedeschi

Una delle ultime battute per cui Andreotti è famoso fu: “Mi piace tanto la Germania che ne vorrei due”. In questa ottica vengono qui proposte due conferenze-lezioni che Bloch tenne nel 1927, a un corso post-universitario per insegnanti di tedesco in Francia. Un po’ lo storico delle Annales così si ripropone lui stesso – sente sempre forte l’impegno patriottico, come combattente della Grande Guerra e futuro resistente nella seconda, fino a che non fu trucidato dagli occupanti tedeschi. Ma c’è di più anche nei due saggi.
Una lezione ricostruisce la polemica intercorsa fra due storici-politici, uno favorevole all’imperialismo tedesco, l’altro contrario. L’altra ricostruisce l’avventura di due imperatori ben noti in Italia, Federico Barbarossa e Federico II di Svevia. E porta alla luce un certo modo di fare imperialismo. Due imperatori per diritto di sangue, erano entrambi Hohenstaufen, oltre che eletti, ma entrambi rispettosi delle regole, e privi di vedute patrimoniali o mercantilistiche, com’è dell’imperialismo moderno.
L’inferenza che la Germania vive o si culla nel sogno imperiale è però errata. La Germania del 1848, la prima a discutere e tentare l’unificazione, ne era lontanissima. Poi l’unità si fece con Bismarck e cioè con la Prussia, con l’espansionismo prussiano degli Hohenzollern: è qui che cambia la storia, e l’imperialismo viene soprammesso alla Germania bonacciona e paesana. Anche contro Bismarck, dopo che il Cancelliere di ferro nei suoi trent’anni l’aveva eretta a solidissima economia, con un funzionale Stato unitario. Il trentennio bismarckiano aveva anche cementato un ceto medio molto pieno di sé, “filisteo” come si diceva, che il kaiser Federico Guglielmo per gelosia, dei suoi cugini inglesi e dello stesso Bismarck, e gli Stati Maggiori per incompetenza, porteranno alla catastrofe nella guerra “vinta” del 1914, passando sopra al Belgio – una società che Norbert Elias ha tratteggiato con maestria nel  lungo saggio della raccolta “I tedeschi” sulla “società soddisfatta” del 1871-1918, “rigorosamente regolata in senso gerarchico”. .
L’Italia che, più che con ogni altro paese europeo, ha avuto una lunga storia di contiguità proprio con la Germania, per quasi un millennio, lo sa meglio di ogni altro. I tedeschi, il Barbarossa compreso, non furano predatori come i francesi. Né alieni o inetti come le aristocrazie aragonesi e castigliane. Al contrario, furono progettuali, e rispettosi sempre del diritto. Di fatto, dove è l’imperialismo tedesco? Nelle due guerre disastrose, le disfatte – lo stesso soldato tedesco di cui le saghe razziste si inorgogliscono non è un combattente, si stanca presto (i Blitzkrieg funzionano a sorpresa e in pianura, invadere il Belgio, o la Galizia).
Omesse le due tragedie, se ne può anche ridere, come in questi due passi di “Gentile Germania”;
“Se la Germania e l’Inghilterra si fossero unite, dice Jaspers, la Germania con la forza industriale e l’Inghilterra con la flotta, avrebbero dominato il mondo. C’è mancato poco: all’inizio dell’Ottocento gli inglesi scoprirono di essere germanici, e vollero esserlo. Prima Coleridge e De Quincey, poi Carlyle, lunghe vite di studiosi furono dedicate all’impresa di trovarsi genitori a Berlino invece che a Roma e Parigi. Ma la Germania rispose col kaiser geloso che volle una flotta più grande dei suoi parenti inglesi.
“Si può commiserare la Germania per non aver potuto godersi il ruolo imperiale quando avrebbe potuto: era il momento dei sassoni di lingua inglese. Oppure complimentarla per questa affermazione sotterranea: pensare in tedesco è peccare in inglese, per la comune radice. Secondo Borges l’accordo non fu possibile per “la secolare amicizia tra la letteratura inglese e quella francese”, che lui molto ama – il purista Borges, per il quale  “la capitale della germanicità non è affatto la Germania, crocevia d’Europa che tante orde e tanti eserciti hanno attraversato e straziato”....
“La Germania del resto è stata grande solo con Carlo Magno, il primo imperatore dei francesi, prima di Napoleone. Per questo giustamente la Germania nacque il 18 gennaio 1871 nel Salone degli Specchi a Versailles. Si faceva per Carlo Magno in Francia un giorno di festa a scuola, ma lui non distingueva tra franchi e sassoni. Amava il brie, ma era alto un metro e novanta, aveva ossatura massiccia e non minuta come i galli, e parlava tedesco. Fu ovunque, nelle sue sessanta guerre in quarantotto anni di regno, meno che in Francia. La corona ebbe da papa Leone III nel campo di Paderborn, in Sassonia. Leone III, uno sporcaccione, anche se figura santo, autore di un Vero Enchiridion, antico libro magico, cercava un regulus, un capobanda, che lo riportasse a Roma.
Marc Bloch, La natura imperiale della Germania, Castelvecchi, pp- 112 € 14

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