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martedì 30 giugno 2015

Le sollazzevoli origini della "Divina Commedia"

Tutto interessante, “se non che, prima d Dante, l’argomento era veramente res nullius”. Poi venne Dante. La questione delle origini si apre chiudendola. Ma D’Ancona merita la lettura..
“Sono quasi cinquant’anni dacché fra noi si agitò la questione se Dante avesse tolta la materia del suo poema da una Visione, quella di Frate Alberico, che venne disseppellita dagli archivj del cenobio cassinese”. Cinquant’anni nel 1874. La questione delle “origini” della “Divina Commedia” non è nuova, e non è seria - “è assai dubbio se cotesta narrazione varcasse mai la soglia della badia benedettina, ove poi è quasi certo che Dante non ponesse mai il piede”, la narrazione di una visione che Alberico ebbe quando “fu rapito in estasi essendo fanciullo di dieci anni”. La filologia vuole anche divertirsi.
Diverso è il caso quando non si vuole che Dante abbia copiato. Le “Visioni” dell’aldilà furono pratica costante nel millennio fino a Dante. Dante ne cita solo due, quella virgiiliana di Enea, e quella di san Paolo nella “Lettera ai Corinti”. D’Ancona, in questo breve scritto (una conferenza tenuta il 18 maggio 1874 al Circolo Filologico di Firenze) ne rintraccia un’infinità, praticamente in ogni convento se ne celebrava qualcuna. E sa anche sistemarle: le contemplative, le politiche e le poetiche. Con propensione marcata per le narrazioni irlandesi (il “Viaggio di san Brendano”, il “Viaggio di Tundalo”, il “Purgatorio di san Patrizio”), non essendosi ancora posta la questione islamica – ma, inavvertitamente, neanche questa futura pista D’Ancona si preclude: a proposito del ponte sull’aldilà, “sottile come un capello”, lo trova “dapprima mentovato nelle tradizioni persiane, donde passò ai credenti di Maometto”, prima di approdare “nella letteratura cristiana”.
Un excursus molto dotto sull’ovvio: “Tutte le notate visioni sono anelli di una gran catena che risale a tempi antichissimi; e, fors’anche, Dante poté ignorare alcuno di questi non sapidi frutti della letteratura claustrale; ma ben conosceva egli, senz’altro” quello che tutti conoscevano. Le visioni sono d’ogni tipo.. Anche di francescani contro i domenicani. Di anonimi monaci contro il “signore d’Italia” Teodorico, “re barbaro e eretico seguace di Ario”. Del re santo Gontrano contro il fratello Chilperico I, infine bollito vivo - molte di queste visioni non saranno all’“origine” di Shakespeare,  la questione non andrebbe posta? Del vescovo Incmaro contro Carlo il Calvo. Andando indietro fino a Lotario, Carlo Magno, Carlo Martello. Carlo Magno “è veduto nel purgatorio, ove sconta la sua scostumatezza”, ma, annota D’Ancona, “il modo della punizione è tale che non lo riferiremo”, e quindi molto resta ancora da dire.
Ce ne sono anche di giocose e satiriche. Nelle quali eccelse “la famiglia dei Troveri, dei Giullari e dei Menestrelli”, coi “favolelli”. Sollazzi che si celebrarono pure a Firenze, attorno al 1300, specie al Borgo San Frediano e al Ponte alla Carraia. Ma qui siamo tra i precursori “di Rabelais, di Voltaire, di Parny”
Il viaggio nell’aldilà come genere, dunque, millenario, le”Visioni”. Per non dire delle “discese al Tartaro e agli Elisi attraverso gli scrittori pagani”. Tutto è stato già scritto, come no. E allora? La stessa ricerca delle fonti può essere ripetitiva e inutile, oppure no.
Alessandro D’Ancona, I precursori di Dante, Luni, pp. 128 € 18

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