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domenica 2 agosto 2015

Il nazismo di Heidegger, radicato

Il nazismo è radicato, non solo in Heidegger
Si trovano sorprendenti conferme, da ultimo da parte di Donatella Di Cesare, dopo la pubblicazione dei “Quaderni neri”, di cui non si è potuto fingere che non esistessero, del nazismo di Heidegger, che invece un qualsiasi lettore trovava a ogni passo nella sua opera: nella terminologia, la problematica, la riserva mentale (postbellica). Ci può essere sorpresa solo se si sottostima il nazismo. Se lo si riduce, come nella vulgata, alla follia, e alle città sbriciolate dai bombardamenti. Le radici del nazismo sono profonde, e solide.  
 “Gentile Germania”, 2013, s’imbatte nel nazismo del filosofo in molti punti. Per es. alle pp. 41-43, e 111-114:

“«Noi giudichiamo l’inizio del nazionalsocialismo a partire dalla fine»”, lamenta Heidegger con Marcuse. Perché, cos’era il nazismo all’inizio? I fratelli Grimm non l’avrebbero messo tra le favole.

“Nel 1933, avviandosi ai cinquanta, età in cui il filosofo propriamente si dedica alla speculazione, dice Platone, Heidegger si dedicò a Hitler. Poi all’eros…” – era felice, trionfante.
“Peter Szondi esorta a non ridere dei giochi di parole di Heidegger. E come si potrebbe? Parliamo di uno che, se la filosofia è una serie di note a Platone, giusto sarebbe dire Filosofo Bino, come colui che rifece il primo. Forse per questo non ha più parlato di Hitler, per trenta e passa anni dopo la guerra, un silenzio fragoroso, viveva in altra epoca. Né degli ebrei, che tanto l’amano. Filosofo del tipo mistico laico, diletto agli ebrei atei incorreggibili, il rabbino che disputa l’inaccessibile - “Il Dio di Israello si cela per tema?”, s’interroga il coro del “Nabucco”: per paura dei fedeli? Adorno ha scritto di Heidegger, con Löwith, Hannah Arendt e altri ebrei. Heidegger non ha mai scritto di Adorno, Hannah o Löwith, neppure del suo maestro Husserl.
“Uno che rinnovò la tessera fino alla fine: scelse il Primo maggio ‘33 per iscriversi al partito Nazista, e vi rimase, le quote pagando zelante. Classificato “nazista privato”: segreto, all’orecchio dei capi. Rettore per scelta del partito e non per elezione. Né la cosa fu ignorata: “L’autoaffermazione dell’università tedesca”, discorso di fine maggio a Friburgo, fu oggetto d’ilarità estiva in Palestina. Croce lo criticò: “Scrittore di generiche sottigliezze. Proust cattedratico, che la filosofia e la scienza vuole affare tedesco, a vantaggio dei tedeschi. E agli studenti dà tre obblighi, il primo dei quali è il nazionalismo”- “Essere e Tempo” Croce aveva trovato gotico Totentanz, un ballo dei morti”….
Si può pure dire che Heidegger s’è adeguato al delirio patrio. Ma credeva a Hitler al punto da dirlo tradito dal nazismo. E viceversa, Jünger lo spiega: Heidegger non dice “scusatemi, ho sbagliato” perché ritiene che ha sbagliato Hitler, che il nazismo era buona fisica e metafisica e fu tra-dito. Fu impegnato, il solo: fra i tanti rivoluzionari reazionari, che molto parlavano, il solo che agì. Vile infine come tutti. La cosa angosciava l’amante Arendt, che lo dice vol-pe, una volpe che per tana si fa una trappola. Lui stesso lo sa, del poco Kafka che ha letto ricorda proprio “La tana”: la bestia lavora a scavarsi un rifugio che sarà una trappola.
Heidegger non voleva l’Olocausto. È possibile. Ma la sua filosofia è la sua biografia: nella Geschichtlichkeit, che si traduce storicità ma è l’annientamento dell’uomo nella storia, l’essere-per-la-morte. Decretò il razzismo contro i cristiani con nonni ebrei. E per l’anno accademico dispose il saluto nazista per tutto lo “Horst Wessel Lied”, l’inno revanscista, la cui esecuzione può durare un quarto d’ora. I colleghi protestarono e il caduco rettore cambiò la circolare, limitando il saluto all’ultima strofa. Lui ci credeva: fece quanto doveva, poi lo cacciarono. Il regime non voleva fanatici, si dice. No, il regime, fanatico, non voleva rivali”.

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