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giovedì 6 agosto 2015

L'amore ininterrotto

Un incontro che è come una seconda nascita, quello di Rilke ventunenne con Lou Andreas-Salomé  di trentasei, l’allumeuse di Nietzsche. Un’amante che accorda alla giovane promessa delle lettere, a fiuto, ben più che al suo proprio marito, il dottore Andreas, col quale il matrimonio volle bianco - lui lo faceva con la serva, dalla quale ebbe anche una figlia, che Lou adottò. Amante e insieme madre, nutrice e liberatrice.
Tre anni dopo, nel 1900, alla fine del secondo viaggio insieme in Russia, patria di lei, dove conversano con Tolstòj e Pasternak, Lou lo lascia: René, che per lei si è trasformato in Rainer, una rinascita anche anagrafica, deve “progredire” verso l’arte, di cui lei lo sa dotato, da solo. E la cosa funziona. Ancora tre anni e la corrispondenza riprende, sempre densa, fino alla morte di lui, il 29 dicembre 1926 – l’intervallo di tre anni doveva servire a Rilke, che sposò la coetanea Clara Westhoff, ne ebbe una figlia, Ruth, e se ne separò, della madre e della figlia, per trovare stimoli e percorsi creativi.
Almeno un paio di lettere fanno testo a sé. La scoperta di Parigi, quando ci risiedette per il suo progetto su Rodin: di un mondo estraneo, che si rivela specchio della sua “estraneità” al mondo, alla vita di ogni giorno – salvo ricredersi successivamente, un paio di volte, trovando la città ispiratrice e produttiva. O la riscoperta, solo, a Roma, di Lou - “luogo sicuro al quale il mio sguardo è rimasto fisso” - dopo la rottura pratica del matrimonio: a Roma si convince che non è la famiglia,  neppure la figlioletta, a legarlo alla realtà ma solo il suo proprio lavoro, di ricerca e creazione. O Avignone, la rocca dei papi. E Les Baux. L’insieme è di un lungo, costante, memorabile rapporto amoroso. Complicato dall’incesto, per quanto figurativo: lui un mostro di autoindulgenza, lamentosissimo sempre, di mali fisici di ogni genere, nonché spirituali, benché eternamente in viaggio, ospite di patroni facoltosi (una cinquantina di residenze diverse sono state censite in vent’anni o poco più, solitamente nei castelli, spesso in uso personale, periodicamente anche a casa di Lou), lei comprensiva e generosa, la inaffettiva Lou.
Si sono incontrati a mezzo del Cristo, René con le “Visioni del Cristo”, Lou con l’ipotesi di un Salvatore abbandonato da Dio, allora nuova. Ma il rapporto è totale, carnale e psichico. Una “fusione”, come lei lo chiamava. Un altro triangolo attorno a Lou, intellettuale come quelli con Nietzsche e Freud, ma anche sentimentale e anzi fisico. Un coito  ininterrotto, seppure a distanza,  per le reciproche presenze interiorizzate. Insieme appropriative e rispettose, di rispetto reciproco. A differenza che con Nietzsche e Freud, Lou è anche la levatrice dell’opera di Rilke, dedicataria del “Libro delle ore”. Con l’aggiunta di “una dimensione terapeutica non trascurabile”, annotano i curatori di questa silloge, una ventina di lettere, Jacques e Dominique Laure Miermont, uno psichiatra e una germanista, studiosa di Annemarie Schwarzenbach.
Nel “Diario” Lou classifica Rilke nel 1913, poeta ormai famoso, “isterico tipico, che si perde nei suoi stati fisici, e non meno perduto, consegnato dai suoi abbandoni, costantemente possessione senza possessore, che non sa a chi appartiene quando non si abbandona, in qualche modo liberato, alla creazione, il suo grande rifugio”. Ma questa osservazione analitica, costante da parte di Lou, a valle delle dettagliatissime lettere di Rilke, non dissecca il rapporto. Che prosegue orgasmico, e liberatorio. Per entrambi, ma per Rilke di più – Lou rinchiudendosi nell’esercizio psicoanalitico, e tuttavia vigile e amorevole, la “cura” esercitando al meglio, terapeuta attenta e creativa.
Rainer Maria Rilke, Lettres à Lou Andreas-Salomé, Mille-et-une-nuit, pp. 127 € 3

 

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