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lunedì 28 settembre 2015

Letture - 229

letterautore


Condottieri – Nella Bibbia sono i deboli e gli umili. E non vincono mai. Figli giovani, spesso osteggiati dai maggiori, figli illegittimi, persone di basso ceto. Uomini soli, che non hanno schiere ma manipoli fidati - il più grande di loro, Gedeone, le ha ridotte a trecento uomini. E fanno la storia  anche - forse più spesso - con gli insuccessi.
Le vite degli uomini illustri registrano i successi, e le sconfitte in chiave di successo. La Bibbia no, gli insuccessi non sono depurati o illuminati dal felice epilogo. La storia di Mosè ne è piena, è una serie anzi di fallimenti, a opera del suo stesso popolo. Anche Davide, che la maggiore impresa compie da solo, l’attacco con la fionda a Golia: vince in fuga da Saul, poi da Assalonne, e quando regna incontestato e potente eccede in turpitudini.

Europa – È la “waste land” di T.S.Eliot, già dopo la Grande Guerra? Quasi da un secolo dunque. È l’ipotesi dell’anglista di Trieste Renzo S. Crivelli, che ne fa la novità della sua raccolta “T.S.Eliot” a cinquant’anni dalla morte. Con qualche prevaricazione: i luoghi certo sono quelli, lo Starnbergersee, Londra, Smirne, ma il debito che Eliot evoca e proclama in nota, con Weston e Frazer, il mitologo e l’antropologo, è ancora più evidente e pesante. È però pure una tesi giusta: non è possibile che la guerra avesse lasciato inerte il poeta, benché protetto dallo status di “straniero non belligerante” - almeno fino al 1917. 

Francesco - Del santo di papa Bergoglio Martin Buber diceva, in Sentieri in utopia, 1945, che supera la religiosità di Benedetto perché stringe alleanza con tutte le creature. Preludeva alla successione che poi ha avuto luogo di fatto, tra papa Benedetto XVI e papa Francesco?

Giallo – Non insegue la verità. E nemmeno, nella deriva noir, la violenza. Questi sono ingredienti. Di un corpo costituto piuttosto dall’inverosmiglianza – la sorpresa – e dal fascino dell’inquirente. Che per questo è il più possibile “strano”, mentalmente, socialmente, fisicamente, a partire da Sherlock Holmes – Marlowe, Spade, Poirot, Miss Marple, Nero Wolfe, Lord Wimsey, Carvalho, l’ispettore Alì, lo stesso Montalbano, che Camilleri non riesce a fare politicamente corretto.
È un racconto buffo, malgrado i morti.

Italiano – Si moltiplicano gli stranieri, nati e cresciuti fuori d’Italia, che scelgono l’italiano per esprimersi.  La Fondazione Corriere della sera  ne ha invitati cinque l’1 ottobre a convegno, in collaborazione con la Crusca: Isoke Aikpitanuy, nigeriana, Cheikh Tidiane Gay e Pap Khouma, senegalesi, Karin Gelten, cilena, Nicolai Lilin, russo.

Jettatura – È scomparsa. Non se ne parla nemmeno a Napoli, nelle canzoni, nelle invettive. Gli stessi maghi sono parchi in materia, non ce n’è di specialisti – non che si sappia, dalle cronache, dai film, dai romanzi. Era ancora al centro di “Sud e magia”, dell’antropologo Ernesto De Martino nel 1960. Bisogna reinventare il Sud?
Ma c’era molto anche in Germania, il malocchio. Anche lì si sarà perduto?

Moravia-Calvino-Pasolini – Nessuno studio, una biografia, un convegno, per i venticinque anni, i trenta e i quaranta della morte. L’università tace (si studia ancora nelle università?), gli editori non investono, i fruitori dei diritti non hanno fantasia – tutt’e tre gli scrittori sono “sotto diritti”.
Una ditta di caffè ha intestato il suo “premio letterario” promozionale a “l’illustre ed eclettico scrittore e partigiano italiano Italo Calvino” – italiano” perché la ditta è siciliana. Come la ripresa di un discorso remoto, per i trent’anni. Il secondo Novecento italiano andrà cercato altrove?

Opinione pubblica – “Non c’è una vox populi, non ci sono che voces populi, e quale di queste diverse voci sia la vera, voglio dire quella che determina il corso degli avvenimenti, questo non si può constatarlo altro che a cose fatte”: analizzando l’opinione in Germania sotto il nazismo Viktor Klemperer, “LTI, la lingua del III Reich”, è scettico. Lo rafforza l’esperienza personale a Napoli nel 1914, da lettore di tedesco all’università, dove gli appare evidente che l’opinione pubblica è un caso di temperamento: “Quante vote, quand’ero lettore a Napoli, ho inteso dire di questo o quel giornale: è pagato (in italiano, n.d.r.), mente per conto del suo comanditario, e l’indomani quello che aveva gridato è pagato credeva duro come il ferro a qualche altra menzogna notoria dello stesso giornale”. Bastava che fosse stampato grosso e che altri lo credessero: “Nel 1914 constatavo, ogni volta con una tranquilla certezza, che questo corrispondeva giustamente all’ingenuità e al temperamento dei napoletani; Montesquieu ha già scritto che a Napoli si è più popolo che altrove”.
Salvo, però, ricredersi con Hitler: “Dal 1933 so…. che, ovunque, spingere le persone a essere così più popolo che altrove è cosa facile; e so anche che nello psichismo di ogni essere colto si trova in una zona dell’anima molto “popolo””.

Sorelle – Sono sacrificate, in genere, e non temibili come le mogli – le sorelle dei Grandi Autori. Silvio Raffo, cultore della poesia femminile anglo-americana, ne cita alcune importanti, nella presentazione alle poesie di Blanwell Brontë: Dorothy Wordsworth, Christina Rossetti, Dorothy Strachey (non osò firmare il suo romanzo, “Olivia”, rimasto anonimo fino a qualche anno fa, come “Olivia” di Olivia). E un solo fratello, lo steso Blanwell.  

Tedesco – Si parlava a Napoli? Si capiva. Horace Rilliet, chirurgo svizzero che visita la Calabria nel 1852 al seguito di un Battaglione svizzero del re di Napoli, si sorprende a Pizzo che i cittadini ascoltino senza meraviglia il re Ferdinando II indirizzare la guarnigione in tedesco.

Vitrioli – “Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro…. E in questo paese, sino a pochi giorni sono, era il poeta… Egli era bene un poeta, e il poeta, sapete, è quasi un creatore, poiché è colui che con le parole — fiat lux — illumina d’un tratto l’oscurità che ne circonda… Mi aveva l’aria, questo poeta segregato dal mondo, se m’è lecito dirlo, d’un Proteo vecchio marino verace, che sapesse i gorghi di tutto il mare”. A un certo punto, a Messina, Pascoli sente il bisogno di questo elogio, che trascina per pagine, nell’allocuzione.saggio “Un poeta di lingua morta” (poi in “Pensieri e discorsi”): “È opera di mano moderna, e seppellita, in certo modo, perché prendesse la patina e muffa d’antico; ma la mano è d’un Michelangelo o, meglio, d’un Cellini. Sì che l’illusione è grande; e ci fa dire che pochi poeti Alessandrini e Romani avrebbero saputo concinnare con altrettanta grazia nativa, tra lo stil dei moderni e il sermon prisco, tra le reminiscenze del mondo Omerico ed Esiodeo e le particolarità usuali della casa e della strada”.
Tanto interesse e tanta ammirazione perché lo sentiva confratello? Pascoli, come il celebrato, si dilettava di poetare in latino. Anche. Ma più per la capacità critica e poetica, anche negli scritti in volgare”: elegie epigrammi, epistole, orazioni, iscrizioni, il premiatissimo poemetto “Xyphia”, le raccolte “L’Asino Pontaniano”, “Veglie pompeiane”. 
Era un secolo fa, poco più, e del soggetto di Pascoli poco o nulla è dato sapere eccetto il nome: Diego Vitrioli. Si suol dire che la gloria della poesia è imperitura, ma forse è anche caduca. Niente ricorda Vitrioli, eccetto una strada - un vicolo - a Reggio Calabria, la sua città.

letterautore@antiit.eu 

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