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venerdì 2 ottobre 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (260)

Giuseppe Leuzzi

La stazione di servizio appare all’alba affollata di africani. Almeno cento, forse duecento. Alcuni procacciatori di manodopera li selezionano per la giornata. Fanno la raccolta dell’uva, a 40 euro per dieci ore. Di cui una quota, assicura il barista, va al caporale – lui dice dieci: il giovane barista non è sorpreso dell’accolta. Come a Rosarno, ma non è Rosarno, è sull’Aurelia a Grosseto.

A giornata senza orario è invece come a Casal di Principe per i pomodori. E il caporale c’è come usa in Puglia. Ma senza scandalo in Toscana, che è civilissima per definizione.
È vero che la vendemmia dura molto meno che la raccolta degli agrumi.

La linea della palma autostradale sale a Nord
Si fa in Toscana la Livorno-Pisa-Firenze fra curve e controcurve, in carreggiata stretta senza corsia di emergenza, e moltissime buche. Si fa la Firenze-Lucca-Massa in direzione Genova tra curve e controcurve, in corsia stretta, molti tratti senza corsia di emergenza, tra camion liberamente in sorpasso malgrado i divieti, per di più pagando, una delle tariffe autostradali più alte. Si fa la Genova-Milano, la cosiddetta Milano-Serravalle, con l’incubo cosante della fine imminente, incolonnati tra i tir, per curvoni stretti tagliati male, pagando anche di più che sulla Firenze-Lucca-Massa. Per non dire della Bologna-Firenze, o Firenze.Bologna, il calvario dell’automobilista – tempo medio di percorrenza due ore per cento km. Ma non c’è spazio nel piagnonismo nazionale che per la Salerno-Reggio Calabria, un’arteria invece moderna e comoda. I meridionali non sanno che si perdono.
Però, parodiando un insigne meridionale meridionalista, Sciascia,  si può dire che la “linea della palma” autostradale ha risalito la penisola. Sciascia lo diceva dell’inefficienza, della corruzione e della malavita – i meridionali meridionalisti sono molto antimeridionali. Ma non può che essere così anche con le autostrade: la Salerno-Reggio ha infettato il sistema autostradale italiano – anche se le preesisteva.
Si fa invece la Torino-Brescia, o la Brescia-Bergamo-Milano, o la famosa tangenziale Est di Milano come in gita: non fosse per l’asfalto sembrerebbe di trovarsi in campagna. Pochi veicoli, anche loro sorpresi. Sono costate a km. più della Salerno-Reggio, benché questa abbia il record europeo e forse mondiale di viadotti e gallerie, e di altezza dei viadotti, mentre le autostrade padane marciano in piano. Ma qui che dobbiamo dire, che la “linea della palma” è salita oppure no?
E poi che vuol dire? L’investimento pubblico al Nord è produttivo, è al Sud che è improduttivo. Il Nord non si fa mancare le infrastrutture, il traffico verrà, Anche se la Torino-Brescia resiste vuota da quasi cinquant’anni – dal fatidico 1968.

La mafia del’antimafia
Il giovane Montalbano 2 punta la pistola contro un mafioso  di sopalle, e quando quello fa per voltarsi lo uccide. Uno che gli era stato indicato da Guttadauro, l’avvocato dei mafiosi. È un errore di sceneggiatura?

Almeno cinque giudici del Tribunale di Palermo coinvolti nel traffico dei beni confiscati ai mafiosi. Ma secondo lo stesso presidente del Tribunale potrebbero essere di più. Il patrimonio confiscato alle mafie ormai ammonta ad alcuni miliardi.

Il ritorno ingrato.
“Abbiamo deciso che il ritorno è una festa”: così Carmine Abate racconta (“Vivere per addizione”) “la prima festa del ritorno”. Il ritorno dell’emigrato-espatriato è complicato da molti nodi. Per primi quelli di chi torna.
Abate i suoi li risolverà a metà strada tra Carfizzi, dove è nato e cresciuto in provincia di Crotone, e Amburgo: in un paese del trentino – non uno preciso, uno qualsiasi a quella latitudine. Scelta si direbbe salomonica. Ma non senza ragione. Ha scelto il Trentino perché a mezza strada chilometrica tra i suoi due mondi, e perché terra di confine, “di contatto e non di divisione” – forse prima del leghismo. Non volendo dividersi tra italiano e tedesco, tra Nord e Sud, tra italiano e calabrese, e tra calabrese arbërëshë. Per vincere lo spaesamento: fra Nord e Sud, fra lingue diverse, straniero in Germania, meridionale o terrone in Italia, per i calabresi un albanese o “ghiegghiu”, come li indicano spregiativamente, per i suoi arbëreshë un “germanese”, uno che se n’è andato in Germania, o un trentino.
Che non è una soluzione, ma Abate l’ha trovata, in quello che chiama il “vivere per addizione”: italiano e tedesco, calabrese e trentino, e un poco albanese: “Perché vivere in più culture, parlare più lingue, acquisire un nuovo sguardo, guardare la vita con altri occhi non può essere che una ricchezza”.
Perché no, si è sempre fatto. Ma ora chi lo impediva? Per innesti si è sempre fatto con le piante, per incroci si fa normalmente con gli animali. Il leghismo, che evidentemente non abita nel Trentino, non si può e non si deve fare, ma quello è un innesto e un incrocio mal riuscito. O richiede un innesto interminabile. Il meridionale post-Lega ha una serie forse interminabile di handicap da superare, essendo essi legati al pregiudizio.
Anche perché molto leghismo è meridionale. Meridionale proprio, dei paesi di emigrazione, non quello d’acquisto nelle periferie del Nord. Inutile chiedere a Abate perché non si è nemmeno posto l’ipotesi di tornare a Carfizzi, volendo tornare in Italia – c’è la libertà di stabilimento. Ma uno che voglia tornare al paese dopo una vita fuori è difficile che trovi posto, tra diffidenza e presunzione di sé.
Si suole opporre la vita metropolitana, sradicata, dei luoghi di destinazione, con la cultura delle radici nei luoghi di origine, ma non funziona così – e forse non è così. Le origini possono essere persistenti ma in quanto sono l’“aria”: colori, odori, memorie visive, la nostalgia stessa – Pavese lo dice al cap. IX di “Feria d’agosto”: “Dovunque ha vissuto un ragazzo, dovunque lui ha posato gli occhi, si è creato qualcosa che resiste nel tempo e tocca il cuore a chiunque abbia negli occhi un passato”. Ma non sono luoghi di accoglienza. Non c’è nessuna forma di integrazione tra i paesi di origine e le personalità o comunità di emigrati. Forse affettive, sul piano individuale, ma non di cultura né di interessi. Nemmeno commerciali, come sarebbe anche logico aspettarsi: il turismo, anche culturale (lingua, studi), i prodotti agroalimentari d’origine, il recupero e restauro dei luoghi di origine, specie se abbandonati.
Difficilmente il singolo che ritorna viene reintegrato, O allora deve tornare ben munito: di saperi, capitali, onori, poteri. È questo che fa la debolezza persistente delle aree di emigrazione: l’élite demografica o funzionale che è espatriata non viene reintegrata, nemmeno per corrispondenza, è una perdita secca.  

Calabria
“Alfano risuscita il ponte sullo Stretto”. In che veste? Da siciliano. Con una leggina che distribuirà qualche altro centinaio di milioni a ingegneri e architetti amici. La Calabria è sempre stata vittima, oltre che di se stessa e dell’Italia, dei siciliani e dei napoletani, che la stringono d’assedio.

Ci sono tantissimi Cosentino in giro per l’Italia. Anche Calabresi e Calabrese, o Calabrò, qualche Catanzariti, molti Monteleone, perfino qualche Palmisano, qualche Stillitano. Ma non ci sono Reggini. I reggini non si muovono?

“Non esporsi all’occhio della polizia, a meno che non sia proprio necessario, per un calabrese autentico potrebbe essere diventato una seconda natura”: il viaggiatore svizzero Josepf Viktor Widmann, “Calabria 1903”, lo dice dalla parte dei calabresi.
Questo non è più necessario. Insomma, entri certi limiti. Ma è ancora vero.

Widmann trova bellissime donne ovunque nei suoi vagabondaggi in terza classe e a piedi su e giù per la regione: Afroditi, Antigoni, Ifigenie. E sempre bellezze che lo turbano, alla mescita, alla fonte, in carrozza, per la strada, anche quelle onuste dei carichi della campagna.
Widmann viaggiava e scriveva nel 1903, e dunque la “dona del Sud” è recente. Opera di meridionali?

Per essere presi sul serio bisogna prendersi sul serio. In Calabria è difficile, perché la zannella è d’obbligo, tra scherzo e  derisione. Ma ridursi a onorare ogni sciocchezza che venga da fuori, per disattenzione o malanimo? La zannella non comporta conformismo. Anzi, è spirito critico, perfino eccessivo. Autodistrtuttivo?

La Calabria non ha vulcani, ma ha avuto i terremoti peggiori. Si è messa all’incrocio della faglia  vulcanica, tra il Vesuvio, lo Stromboli e l’Etna.

Sempre Widmann: “Il motivo dell’indifferenza e della crudeltà dei calabresi nei confronti delle sofferenze degli animali va cercato nella loro superficialità e nella loro mancanza di educazione ed  istruzione”. Questo non è più vero, le cliniche veterinarie pullulano in ogni anfratto della regione. Ma la superficialità, e la mancanza di educazione e istruzione? Queste si sono forse moltiplicate – saranno inesauribili?

L’Autorità anti Corruzione inibisce dalle nomine il persidente della Regione Calabria Oliverio per tre mesi, per nomine avventate. Silenzio, la notizia non è una notizia. La notizia arriva il giorno dopo con reazione di Oliverio: “«Resto al mio posto e ricorro al Tar», Oliveriosi ribelka a Cantone”, è la prima pagine di “Cronache del garantista-Calabria”. Lascianda che il lettore trovi da sé a che cosa il presidente si ribella.

Oppure si può dire la Calabria perseguitata dai giudici - rigorosamente napoletani, com’è ovvio. Oliverio è presidente della Calabria perché il suo predecessore è stato costretto alle dimissioni da un rinvio a giudizio – senza seguito dopo tre anni o quattro. Giudici, bisogna dire, equanimi: Scopelliti era di destra, Oliverio è di sinistra.

Otto cuochi ventenni calabresi si meritano il “Corriere della sera”. Dopo che uno di loro è decretato giovane cuoco dell’anno dalla Guida L’Espresso. Merito anche dei loro mentori e organizzatori, Giovani Gagliardi e Manuela Laiacona, esperti in comunicazione – è così che si fa: bisogna sapersi vendere. Ma come li inquadriamo in “Anime nere”? Gli sceneggiatori della Rai avranno un problema.

Esperti floraculturali di tutto il mondo sono riuniti a Cosenza dall’università Federico II di Napoli per un International Fig Symposium. Perché a Cosenza? Perché è la capitale del famoso fico pajuni (pallone), il “fico dottato”. Grosso e pieno, buonissimo tanto fresco quanto secco. Poi uno va a indagare che vuole dire dottato, e scopre che il fico omonimo è attribuito da Wikipedia e Treccani concordi alla Toscana, e più in particolare alla provincia di Arezzo. Non avremo rubato anche i fichi? 

leuzzi@antiit.eu

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