Cerca nel blog

venerdì 6 novembre 2015

Letture - 234

letterautore

Anna - Chissà come si vede Ammaniti girando per la città, dietro autobus ricoperti da “Anna” in gigantografia, “l’ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti”. Non un Supercorallo, uno Stile Libero. Non l’eternità, tutto subito. Un investimento.

Guerra – Quella del 1914-1918 che si celebra la simboleggia, ne è come lo stereotipo: milioni di morti nelle trincee, carne da macello, tra fango, gelo e granate. Ma con un prima e un dopo distinti. Il prima lo simboleggia Rupert Brooke, il poeta bello e patriota che ne sarà vittima, volontario in Marina, un anno dopo l’inizio. La celebra in numerose poesie, e specialmente in “Tle soldier”, prima dell’arruolamento: “Se muoio, pensa solo questo di me\ che c’è un angolo in un campo straniero\ che è per sempre Inghilterra”. Il “Times Literary” l’aveva incoronato nel 1915, poco prima della morte, pubblicando “The Soldier” e altre poesie, per i suoi “sonetti di guerra”. Molto amato a Londra, amico di “tutti”, quelli che contavano e conteranno, e la guera evitarono: Churchill, E.M.Forster, Edward Thomas, Keynes, con Henry James e Virginia Woolf, e altri del cerchio letterario di Bloomsbury.
Dopo, la guerra è di Jünger, Malaparte, Céline, De Roberto e infiniti altri, tra sgomento e maledizione.

Inclinazione – Un matrimonio d’inclinazione usava dire in francese, e non d’amore, per due che si sposavano per reciproca attrazione. C’è in Marivaux, e poi negli anni 1830-1840: Balzac, Custine.

Pasolini – Molto presente, e nel ruolo di bastian contrario, ma non curioso della realtà circostante. “Sapeva” ma non si informava. Non per economia di tempo o d’attenzione, non sentiva il bisogno. La sua “antropologia” degli anni 1970 è iterativa e forse insincera, oltre che incongrua, anche assurda.  Gli appunti di viaggio, in India e in Africa, sono muti – lo erano già all’uscita. Gianni Morandi, con cui giocava spesso a calcio, a Roma e altrove, ricorda da Fazio che non gli ha mai parlato di musica, di canzoni, di cantanti, di spettacolo. Viaggiando in piccolo numero, per esempio con Moravia e con Maraini, comunicava poco e si assentava molto. Recensiva molto, ma a fini alimentari, di occupazione del territorio? Non ha contributi critici durevoli. Non ci sono suoi contributi sui Bertolucci, o su Moravia, Maraini, Morante, lo stesso Gadda dialettologo e presenza ingombrante allora a Roma, che frequentava anche socialmente, al ristorante, ai premi.

È bizzarramente romano. La sua énaurme opera, per dirla alla Ubu, è tutta romana, tra “Ragazzi di vita e “Salò”. Di lingua, di temi, di modi di essere, di dire, di fare.

Non è mai tornato in Friuli, di cui aveva resuscitato lingua e tradizioni con un impegno decennale, e a tutto campo, con riviste, circoli, lezioni. Due o tre anni dopo l’arrivo a Roma anzi scrive ad alcuni corrispondenti d sentirsi, e sentirsi parlare romano. Il precedente radicamento friulano negli anni della guerra risponde a un bisogno maturato nella vita errabonda da ragazzo, ma è più un omaggio alle radici della madre, l’altro suo io. Il Friuli è spazzato via da Roma. La madre no, il Friuli sì, che quindi era acquisizione posticcia, da filologo. Nemmeno la memoria dei parenti, del fratello morto nella sue montagne, dei primi amori, lo riporta al Friuli.
Non ebbe amori del resto, nemmeno un primo amore. E quelli che ebbe, documentati biograficamente, li ha cancellati dall’opera e dalle sue memorie..
Lo sradicamento per un intellettuale del suo calibro è pena lieve. Ma del radicamento aveva fatto e ha continuato a fare una passione, se non uno stile di vita. L’ambizione sana tutto.

Si rileggono sul filo dell’(involontaria?) ironia alcuni suoi scritti corsari sul “Corriere della sera”, il giornale della borghesia – scritti altrimenti reazionari. Dove afferma per esempio che “niente necessita di una più accanita e matta energia che il desiderio di possesso”- lo insegna a loro, a Milano, al “Corriere”? Mentre dice “un crimine” la scuola obbligata, cioè gratuita. E che “una buona quinta elementare basta oggi in Italia a un operaio e a suo figlio”. O commenta rinfrancato il mancato sorpasso del Pci sulla Dc alle Regionali del 1975 – “sarebbe stata una tragedia assoluta”.  Roba da Maggioranza Silenziosa.  Di tutta la sua feconda collaborazione al “Corriere della sera” il direttore Piero Ottone ha voluto far sapere di essere intervenuto una sola volta, con soddisfazione poi dello stesso Pasolini, per espungere il cazzo, la parola, da un articolo.  
Roba da tardo maoista, certo, Mao la scuola aveva abolito da dieci anni. Ma insieme Pasolini rimproverava agli italiani i loro modesti consumi - su cui Milano basava e basa la sua fortuna. Che non era nemmeno il Sessantotto in ritardo, è roba da levare il respiro. Il mite poeta s’era fatto rabbioso per mutamenti culturali e intimi che non ha mai messo in chiaro, e forse non sapeva che imitava Malaparte, i “Battibecchi”.
Se fosse stato – si fosse proclamato – fascista, i suo ragionamenti si sarebbero detti fascisti. Fu del resto comunista tardi. A ventun’anni, a guerra non ancora perduta, caldi disegni abbozzava e consensi raccoglieva nel fascista “Setaccio”, schierandosi in divisa littoria all’università e denunciando gli amici disfattisti. Questo forse non è vero, anche se i fratelli Telmon ne erano certi, Giorgio, il denunciato, e Sergio, entrambi amici suoi inseparabili. Ma lui stesso si vede, in “La realtà”, “da uomo senza umanità,\ da inconscio succube o spia,\ o torbido cacciatore di benevolenza”. Il fatto lamentato da Giorgio Telmon risalirebbe al 6 ottobre 1942, mentre a Bologna aspettavano schierati Mussolini che andava a Pontecchio a inaugurare il monumento a Marconi. Per l’entusiasmo, forse, della scoperta della cultura europea a Weimar, nel viaggio premio della gioventù fascista. “Le onde” avendo calcato, “per qualche tempo, che mandano\ alla Rivolta Reazionaria”.
Il resoconto del viaggio a Weimar, pubblicato su “L’Architrave” il 31agosto 1942, è da deliquio. Leopardi in esergo, “Zibaldone” 1106: “... le illusioni quando sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile”. Con “l’aria eccezionale e memorabile” a seguire.

Poesia – Nel senso latino del poetare, creare, e meglio in quello greco di poiesis, fare dal nulla, è in realtà un atto. Mentre nell’uso corrente è un abbandono, idillico perlopiù e sentimentale, o anche furioso, ma introverso e fine a se stesso.

Roma – Non cessa di decadere da quasi due millenni – secondo Canfora da più di due millenni, la decadenza essendo cominciata con Augusto, con le guerra di Augusto per l’investitura. Con costanza, da Tacito a Lutero e Du Bellay, e ora a Pignatone. Si capisce che i romani si siano assuefatti al linguaggio della decadenza, parlino sempre di fine. La mafia che Pignatone le vuole inoculare è quasi un ricostituente.

Roma nel Seicento l’Accademia di Francia la vuole “il centro culturale più vivo e all’avanguardia d’Europa e attirava artisti da tutti i paesi” – nella presentazione della sua mostra “I bassifondi di Roma”, un anno fa..

Non esprime che geni comici. Ne ha avuti di filosofici, epici, drammatici, idilliaci, “oraziani”, ma da alcuni secoli, dopo l’Arcadia, già a suo modo comica, per i soprannome e i temi, ne ha solo di comici dichiarati, scherzosi, ironici, sarcastici: Belli, Trilussa, Pascarella, Petrolini, lo steso Penna – e poi naturalmente Sordi, Rascel, Proietti, Brignano.

Romanzo – In crisi, anzi morto, negli anni 1970, in una col dopo-Praga, il disincanto e il terrorismo, è ubiquo e invasivo col dopo-1989 e il mercato trionfante – è “romanzo” anche il saggio critico, storico, filosofico. È roba da “mai stati così bene” – borghese, affluente? Così lo volevano il Gruppo 63 e anche i suoi nemici, come Pasolini, negli anni 1970. Ma, seppure in un altro contesto, e quindi con senso diverso, lo spiegava Sade in prigione: “Il Romanzo diveniva tanto difficile da scrivere quanto monotono da leggere: non c’era individuo che non avesse subito in quattro-cinque anni più disavventure di quante potesse narrarne in un secolo il più famoso romanziere”. Non restava, secondo Sade, che “chiamare in aiuto l’inferno”. Il romanzo è genere di pace, anche sociale.

letterautore@antiit.eu

Nessun commento: