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martedì 3 novembre 2015

Quella sporca centrale pre-putiniana

Černobil’ di chi la catastrofe ha vissuto dal “di dentro”, convivendoci. L’opera forse più sincera, sebbene di maniera, del premio Nobel.
Černobil’ in realtà ha vissuto la catastrofe da lontanto, realativamente poco colpita dalle radiazioni – la fusione del reattore è avvenuta nella centrale di Pripjat, a trenta km. Ma da Černobil’ le radiazioni si sono diffuse verso Nord, in piccola parte nella stssa Ucraina, in parte maggiore in Bielorussia, il paese della scrittrice.  Da cui sono tratte le maggiori testimonianze.

Il nome si dà alla tragedia per essere evocativo. Černobil’ fu capitale della Bucovina austriaca, popolata da ucraini, russi, rumeni, polacchi, austriaci, ebrei. Dopodiché ha cambiato nazionalità sei volte: da austriaca a rumena nel 1919, russa nel 1940, rumena di nuovo nel 1941, russa di nuovo nel 1947, ucraina dal 1991. Materializzazione di un  groviglio che sarebbe opportuno non sciogliere ai confini della ussia, non con l’accetta.  
L’editore riedita, ricopertinate, le opere tradotte una dozzina d’anni fa, ben in anticipo sul Nobel. Per la riuscita del reportage, che si fa ancora leggere. E in chiave oggi sanzionatoria, anti-Putin, anti-russa – anche se la centrale era ucraina.
Svetlana Alexievič, Preghiera per Černobil’, e\o, pp. 351 € 14

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