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domenica 1 novembre 2015

Contro la democrazia nel nome dell’islam

Come che vada, un cattivo risultato, esito degli ultimi cinque anni di Erdogan; il politico che prometteva un islam a carattere europeo, con liberi partiti, libere elezioni e una legislazione civile paritaria, lo ha rivoltato in islamismo intransigente, se non fondamentalista. Che vuole tutto. Simboleggiato dalle donne velate dalla testa ai piedi, come in Arabia Saudita, il più chiuso e cupo dei paesi islamici, eccetto che per la fessura agli occhi.
La sua stravittoria non risolve e anzi complica. Sarà contestata, probabilmente a buon diritto. Certo è che viene al culmine di un’elezione forzata, da tutti i punti di vista. La tempistica. Gli attentati non perseguiti – in Turchia è quasi impossibile, la polizia è dappertutto, in chiaro e al coperto. Le centinaia di morti contro le forze di polizia. I raid contro i giornali,. Non è un colpo di Stato perché Erdogan non ha (schierato) l’esercito, ma per il resto c’è tutto.
La Turchia ha una posizione chiave nel Medio Oriente e nel contenimento della Russia, e quindi ogni cosa le viene perdonato dal cosiddetto Occidente, dagli Usa e quindi dall’Europa. Ma sulla china che le ha impresso Erdogan sarà presto un avamposto non affidabile.
Il paese è – era finora – europeizzato. La metà della popolazione lo è: quella costiera, di Istanbul, Smirne e Bursa, la “Milano” operosa, giù fino alla frontiera con la Siria, e la minoranza curda. La zona anatolica è anch’essa molto aperta. Su tutto il paese, comprese le zone chiuse interne, influisce anche l’emigrazione in Germania e nel Centro Europa, che è recente e resta radicata. Il ritorno a un islam tradizionalista, nella giurisdizione, la simbologia, l’articolazione politica, è solo una manovra acchiappavoti. Spregiudicata anche. Che può perdere la Turchia. 

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