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venerdì 20 maggio 2016

Il mondo com'è (262)

astolfo

Big Game – Ritorna il Big Game di fine Ottocento, di “Kim”. Non più in Afghanistan, con le tribù di frontiera, tra la Persia e il Punjab, oggi Pakistan, zone impervie, allora come oggi, ma considerate snodo nella contesa imperiale russo-britannica, avamposto per fermare la discesa degli zar sull’oceano Indiano. La Russia muove coi missili e l’atomica. In Iran, in Siria, e prossimamente, per il petrolio, in Arabia Saudita. In Crimea e mezza Ucraina sul mar Nero – in attesa di regolare i conti con la Turchia, o di farne il suo emporio naturale. E si allarga in Asia, non c’è argine ex britannico (occidentale) possibile.
Più nuova, anzi singolare, è l’inerzia dell’Europa. Londra compresa, che il Big Game storico invece menava, ogni mossa dell’Orso Russo, anche solo immaginata, contrastando. Non se ne parla nemmeno. Con la geografia si è persa anche la storia.

Millennio – Non l’ha accompagnato la psicosi da fine del mondo dell’anno Mille, ma il terrore ugualmente ritorna, come a uno sguardo retroattivo. Di un “angelo dell’avvenire” voltato all’indietro. O di chi fosse in barca nel nuovo Millennio su natante inadeguato, da profugo nel barcone.
Il denaro essendosi sostituito alla fede, il Millennio è stato superato in pompa e gala grazie al never had it so good delle presidenze clintoniane post-Tienanmen, del dodicennio di ipermercato sino-americano. Poi è venuto l’11 settembre. La storia è così semplice. E di guerra in guerra il business si è rivelato inerziale, e anche truffaldino. Che lo fosse si sapeva, e che era necessario governarlo. Non si è fatto, non si fa, è la presidenza inutile di Obama, e l’effetto è la crisi, permanente effettiva.
Entrambi i fenomeni, la crisi in agguato e gli incerti rimedi, sono in una pagina dell’ultimo Kant, “La fine di tutte le cose”: “I segni che annunciano il Giorno del Giudizio (quando mai, infatti, un’immaginazione eccitata da grandi aspettative  si farà mancare segni e prodigi?) sono tutti di natura terrificante. Alcuni li scorgono nel dilagare dell’ingiustizia, nell’oppressione dei poveri a causa della smodata tracotanza dei ricchi e nella generale perdita di lealtà e fiducia; oppure nelle guerre sanguinose che divampano a ogni angolo della terra, e così via: in una parola, nella decadenza morale e nella crescente diffusione di tutti i vizi assieme ai mali che li accompagnano, quali, a detta loro, mai si erano visti nei tempi passati. Altri, invece, li intravedono in mutamenti naturali eccezionali, come nei terremoti, negli uragani e nelle alluvioni, oppure nelle comete e nelle meteore”. Nel riscaldamento globale, e l’Ebola dopo l’Aids, oltre che nelle alluvioni autunnali.
I rimedi sono incerti perché sono – dovrebbero essere – morali: “Non è immotivata la percezione che gli uomini hanno del fardello della propria esistenza, per quanto ne siano essi stessi la causa”. Per questa semplice ragione: “Accade naturalmente che i progressi del genere umano nel coltivare il talento, l’abilità e il gusto (con ciò che ne consegue: l’opulenza eccessiva) sopravanzino lo sviluppo della moralità, e tale condizione è appunto la più gravosa e la più pericolosa sia per la moralità sia per il benessere fisico. I bisogni, infatti, crescono con forza assai maggiore dei mezzi per soddisfarli”.
Kant è ottimista, ma per una petizione di principio: “L’inclinazione morale dell’umanità, tuttavia, che, alla stregua dell’oraziana «pena, col suo piede zoppo», sempre arranca loro dietro, giungerà un giorno a superarli (come è lecito sperare che avvenga sotto al guida di un saggio reggitore universale)”, a superare i bisogni, “poiché nella loro corsa precipitosa essi si ostacolano  e spesso inciampano”. Il che è vero, ma succede come in una corsa ciclistica, che molti corridori cadono insieme (nel gruppo), ma la corsa continua senza fine, senza soluzione di continuità, per quanto perversa.
Realpolitik – Incarnata in Bismarck, per il quale uno scrittore non eccelso, Ludwig von Rochau, la coniò, prendeva a modello Cavour. Come azione politica duttile o dei fatti concreti, che cerca di trarre un utile da ogni situazione, e essenzialmente diplomatica, non bellicosa – quale Bismarck invece prediligeva e attuò, in almeno tre guerre più o meno preventive. E come politica appunto realistica,  malleabile, in contrapposizione alle visioni ideali o di principio, e alle progettazioni, che sono rigide.

Suffragio universale – Ricelebrato di recente per i settant’anni del voto alle donne, è scontato come completamento, e anzi arma definitiva, della democrazia. Ma a lungo fu contestato su basi democratiche. Quando Bismarck lo adottò, per primo, nel 1867, per vincere le resistenze degli ambienti conservatori e legare la monarchia al popolo, fu accusato di cesarismo. Dagli stessi liberali. È Bismarck che lo definisce nelle “Memorie” “la più forte delle armi democratiche”. Il politologo liberale Hermann Baumgarten, che orientava all’epoca l’opinione pubblica tedesca,  in una “Autocritica” (“Der deutsche Liberalismus. Eine Selbstkritik”) parlò di “demagogia cesaristica”, che “mina l’autonomia delle istituzioni”.”. E ancora: “Le suffrage universel minaccia “non solo lo Stato”, minaccia anche “tutta la Kulture”, portando al potere i crudi incontrollabili istinti delle masse.
È una critica che Max Weber farà propria, il suffragio universale del 1867 definendo un mezzo per imporre “il cesarismo a una borghesia allora indocile”. Bismarck stesso, a giugno del 1865, nel corso in un Consiglio della Corona, nel quale aveva prospettato l’adesione popolare indispensabile per il confronto che preparava con l’Austria, si era espresso così: “Considero le elezioni dirette e il diritto universale di voto un grande garanzia per una politica conservatrice, maggiore che una qualunque legge elettorale in qualche modo artificiale, calcolata per il raggiungimento di maggioranze prefabbricate”. Per un calcolo preciso: “In un paese con tradizioni monarchiche e senso di lealtà, il diritto universale di voto, vincendo l’influenza delle cassi borghesi, conduce a elezioni monarchiche”.
Nella stessa occasione prospettò il suffragio universale come lo strumento migliore per ristabilire il contatto diretto tra la monarchia e “gli elementi sani che costituiscono il nucleo e la massa del popolo – contatto impedito dal sistema elettorale per classi”.
Si era in un sistema costituzionale, peraltro, in cui la consituency del presidente del consiglio prussiano era il re e non il Parlamento.

Triplice Orientale – Accanto alla triplice Alleanza, con Austria-Ungheria e Italia, Bismarck immaginò e in parte dispose anche una Triplice Orientale. In due versioni, dell’asse Germania-Austria con la Russia, o Accordo dei Tre imperatori, e dell’Austria-Ungheria con l’Italia e la Gran Bretagna, per controllare il Mediterraneo – in funzione antirussa. Pensò di avere realizzato. Le alleanze orientali infatti non furono attive, e anzi oggetto di intese e non di trattati, tutte peraltro bilaterali e non collettive. L’Accordo dei Tre imperatori fu in crisi già nel 1985, nella crisi bulgara.
La Triplice Orientale propriamente detta o mediterranea non fu mai attiva. Fu sviluppata e negoziata dal conte di Robilant, che da ambasciatore aveva firmato la Triplice a Berlino, quando nel 1886 divenne ministro degli Esteri. Al rinnovo del trattato della Triplice, con Germania e Austria-Ungheria, aggiunse un trattato italo-tedesco che riconosceva all’Italia interessi preminenti nell’Africa settentrionale, e un tratato italo-austriaco che garantiva all’Italia compensazioni nel caso di un allargamento dell’Austria-Ungheria nei Balcani. In parallelo, negoziò e concluse un trattato anglo-italiano, al quale poi aderì l’Austria, venendo incontro alla politica britannica di bilanciamento dell’espansione francese nel Nord Africa e russa nel Medio Oriente. L’accordo fu possibile anche perché i rapporti della Gran Bretagna con la Germania di Bismarck erano in quella fase ottimi. Ma non ebbe applicazione. Analogamente per un accordo parallelo che il conte sottoscrisse con la Spagna, con l’adesione successiva dell’Austria-Ungheria, sempre per lo statu quo nel Mediterraneo e nell’Africa Settentrionale.

Era una possibilità, come sviluppo della guerra d Crimea, sempre per il contenimento della spinta russa verso il Mediterraneo. Cui però il Piemonte di Cavour aveva partecipato, futuri imperi centrali no, l’Austria e la Prussia. L’obiettivo era lo stesso: tenere la Russia fuori dagli Stretti, dai Dardanelli. Ma, già allora, la Prussia-Germania e l’Austria non si ritenevano interessate, “mediterranee”. I cicli storici ritornano, se ancorati alla geopolitica – o: la geopolitica è un fatto, si vede anche nella politica putiniana.

Per molti aspetti la recente contesa russo-turca, e la discesa della Russia in Iran e in Siria, con aperture alla penisola arabica, sono un remake della politica degli zar. I bombardamenti concorrenziali in Siria e altrove, Usa-Francia-Uk da una parte e Russia dall’atra, un remake del Grande Gioco, oggi come allora su terreni infidi, non leali..

astolfo@antiit.eu

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