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giovedì 9 giugno 2016

Secondi pensieri - 265

zeulig

Amicizia – La morte di Dio ne stimola il bisogno? È pensieri peregrino ma definito di Foucault: che l’uscita dal sacro ha favorito l’amicizia, e che non avessimo più altro da tenere in conto.

Dev’essere - può essere solo - disinteressata per Simone Weil. Essendo misteriosa. Non si coltiva: “L’amicizia non va cercata, né sognata, né desiderata, né definita o teorizzata”. Opure sì: “L’amicizia si esercita (è una virtù)”.  Ma casuale e solitaria: Non bisogna desiderare l’amicizia come compenso, non va inventata, non per alleviare la solitudine; non deve basarsi su visioni deformate di te e dell’altro. Molte volte vendiamo l’anima per l’amicizia ed è facile corrompere e corrompersi. Contro la visione prevalente della “società di mutuo soccorso”. Che invece è reale, e anche giusta.
Non è carità, nemmeno bene intesa, ma non è eroismo né martirio – rinuncia, sofferenza. È un contemperamento.

Dio – È inizialmente una percezione di sé, nell’infanzia – prima di diventare mito e rito. Anche quando all’infante venga “insegnato” dai genitori. Una idealizzazione della sua propria origine e del suo futuro, anticipato, appiattito nel presedente – nell’io al centro di tutte le cose. Laicamente ridotto al “romanzo familiare” di Freud: è lo stesso bisogno di eroicizzarsi o divezzarsi. Ma allora senza più il dover essere, solo compiacimento, gratuito – senza valenza etica, e neppure conoscitiva.

Egoismo – È altruismo – e viceversa. Nella dialettica degli opposti, che la psicoanalisi eleva a metodo di conoscenza.  Di uno strumento logico facendo però uno terapeutico. A nessun fine se non strumentale e consolatorio, una terapia si vuole incisiva – mirata, radicale. Come con la “verità” delle parole, il male è bene, il bene è male, etc.?
Però: l’egoismo si vorrà altruista, è nella sua natura.

Gelosia – È l’egoismo nelle cose dell’amore. Ma allora acuminato, violento. Di un bene (la persona, l’amore) di cui si pretende l’appropriazione totale. Non c’è altra logica negli uxoricidi – ora prevalentemente e danno della donna, mentre era una vendetta prevalentemente femminile, contro l’uomo.  

Ghetto – È – è nato come – esclusione, emarginazione. È divenuto la condizione umana d’elezione, nel segno della diversità\superiorità. O della “vera affermazione” di sé, al momento dell’estinzione dell’io. Un sorta di Io sociale. Come per la comunità storica del ghetto, quella ebraica, la mentalità del ghetto è, per quanto “assimilati” (confusi, amalgamati), una di superiorità, così per le minoranze. È l’orgoglio e la forma della diversità.
Si direbbe il contrario. Si veda in libreria, dove gli scaffali specialistici sono utili a particolari professioni (economia, management, contabilità, manualistica) o condizione demografica (bambini, ragazzi) ma per categorie divisive (erotismo, femminismo, gay), ghettizzanti, non funzionano  commercialmente. Si direbbe la coscienza del proprio sé completa nella immedesimazione con quante più altre coscienze possibili. Un camuffamento o nascondimento, se la separatezza è il valore privilegiato.

Impudicizia - È un “vizio inglese”, avrebbe detto lo “scozzese” Kant, di considerare l’impudicizia un’offesa alla donna: “Ninon de Lenclos non aveva la minima pretesa all’onore della castità, e un amante l’avrebbe ferita che si fosse ingannato in materia”.
L’impudicizia può essere bella. Il problema è che non lascia nulla - a parte l’orgasmo.
Ma di che stiamo parlando? Si è persa anche quella.

Lussuria – Non c’è più. A lungo sinonimo di illecito, peccato, è scomparsa anch’essa di colpo, senza residui. Ancora una generazione fa c’erano scrittori che se ne facevano bandiera: Edmund  
White è uno, “La sinfonia degli addii”, 327: “Si può parlare di lussuria se è la bramosia di appartenere a qualcuno, di scrivere le sue iniziali su ogni cromosoma del proprio corpo? Ero disfatto dalla lussuria, se di lussuria si trattava , pazzo di desiderio, sicuramente rincretinito…”. Disfatto? Dal desiderio? C’è una lussuria anche della parola – c’era, è scomparsa anche quella, si calibrano i termini.

Morte – “La morte è la madre della bellezza” è citazione rinomata di Wallace Stevens. Che vuol dire che?  Forse nel senso di Theodor Reik, Amore e lussuria”, l’analisi del masochismo – “la più strana e rivelatrice delle perversioni sessuali”: che “il desiderio sessuale si rivela più forte della paura della morte”

Odio – Si direbbe il risentimento il motore dell’odio e non l’onore. L’“odio impotente” è categoria stendhaliana sottovalutata - non c’è testo di qualche ambizione in cui il “barone” non ne parli, “Il Rosso e il Nero”, “Leuwen”, “La Certosa”, perfino le “Memorie di un turista.

Onore – Il più inflazionato dei valori, o virtù. È termine polimorfo e concetto flessibile, più forse di ogni altro: è ossequio, memoria, titolo di potere e di beatitudine,  gloria, fama, decoro, pompa, probità, reputazione, impegno, grado, dignità, stima, credito, bravura, pudicizia, eroismo, fede. Muove anche una serie di delitti, d’onore (potere patriarcale), le corna, la gelosia. L’intelligenza si onorava, e l’arte. L’età, la divinità, il potere, la patria. Anche l’amore. E c’era il punto d’onore, francesismo per puntiglio. Ma è introvabile, benché fosse così diffuso.

Reale – Si recepisce come qualcosa di esterno, che si impone – anche se già, da Kant e i “fenomeni”, sappiamo che è un mondo di apparenze quello di cui tratta la scienza. Che si riceve e non si elabora, se non per adattamento, non nella sua essenza, che si vuole macroscopica, praticamente incommensurabile. Anche perché non del tutto definito e sempre sfuggente – contornato e informale, etc..
Una falsa percezione a ogni evidenza, e più nella psicosi o nevrosi, che frantuma questo mixage (recepimento), focalizzandosi su un aspetto, a ogni evidenza non più “reale” – reale nel senso di materiale, determinante, ma non veritiero, cioè con “corrispondente a realtà”.
Non è reale – non è scisso – per il bambino, fino a che la pedagogia non lo conforma. Prima di acquisire la coscienza di sé come distinto dal mondo, o della molteplicità (inafferrabilità?) di ciò che gli si presenta come mondi esterni.

È l’entità, con relativa nozione, più “irreale” che si prospetti: indefinito, introvabile, insoddisfacente – minaccioso sì, retributivo mai.  

Sessualità – Ridotta all’atto è ridimensionata, a stimolo nervoso. Ridotta all’aggressività dele pulsioni naturale, a mangiare, a defecare. Freud si pone il problema, ma lo riduce al parallelo con l’alcolismo. Ma l’alcolizzato è ripetitivo col suo vino, mentre la sessualità è stimolo e rinnovamento – semmai troppo, in una concezione etica monogamica.
C’è anche l’alcolizzato inventivo? No, neanche così il parallelo tiene: la differenza è radicale. Anche più della “componente psichica” della sessualità che Freud riconosce.  

Storia – La storia muore? Sì, e rinasce.
Si direbbe che non può, ma di fatto muore. Molte storie sono morte, altre stanno morendo. Per variazioni del punto di vista e non per cataclismi cosmici. Dal culto dei morti all’onore, per restare in questa pagina.
Poi magari rinasce - la fenice è la storia.

zeulig@antiit.eu

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