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sabato 25 febbraio 2017

Secondi pensieri - 297

zeulig

Contemporaneità – È eversione costante, di cui la riflessione tarda a distinguere sostanze e contorni, contesti. Che si produce tuttavia per atto di volontà, sia essa benefica oppure catastrofica. E quindi di riflessione, seppure pratica, indirizzata a una finalità immediata e circoscritta.
I due percorsi concettuali sono distinti per la vecchia distinzione tra uomini d’azione e uomini di pensiero. Ma non si può pensare all’azione avulsa dal pensiero, e tanto più nell’era delle masse, non dell’impresa eroica o individuale. La contemporaneità, il mondo in fieri, mette in luce oggi più netti i due differenti modi di pensare e cioè di essere.

Fake – “Real news, fake President”, titola “The Nation”. Falsamente. Il titolo dice bene la posizione politica del settimanale, avversa a Trump. Ma un Presidente eletto non è fake – un presidente americano ha poteri enormi, compresa la guerra atomica. Fake è falsità e impostura naturalmente, ma con connotazioni, dice il Roget’s Thesaurus, di copia, imitazione, impostura. L duplicità mentale, l’imbroglio, l’impostura vengono di rincalzo.

Delle notizie è il tema del giorno: la costruzione di false notizie. Fake ne dice meglio la natura: ma allora è la vecchia dinsiformacija, detta così, in russo maccheronico, in epoca di guerra fredda, per dire l’attività dei servizi segreti russi. Detta così dai servizi segreti occidentali, che ne facevano altrettanto uso.
Opera del demonio dunque, la disinformacija, meglio se russa? Ma anche della confusione mentale. E dell’impossibilità o scadimento della funzione critica. Proprie entrambe delle comunicazioni di massa. Per un senso, per di più, di comunione, di identificazione in un gruppo, come la pubblicità ben sa: l’informazione condivisa, perfino omertosa, secretive, fa aggio su qualsiasi elemento o genere di verità – l’autorevolezza (studi o conoscenze, personalità, anche censo, eredità, formazione), la funzione pedagogica (“siamo anti imparati”), la volontà o bisogno di imparare.

Guerra umanitaria – È un ossimoro. Anche la guerra giusta.

Infinito – È una categoria del pensiero, è il pensiero.

Isacco – Se il nome significa “colui che rise”, il coltello del padre Abramo puntato alla gola, non è perché stava per vanificare d’anticipo tutto il freudismo?

Memoria – È un esercizio, interminabile. Anche quando è conclusivo. È una novità, resta sempre fuori. È il riassetto delle novità emergenti, fluttuante, in perpetua mozione, mai definitivo.

È realtà tipicamente delebile. Anche oggi, che degli eventi si potrebbero fare, grazie all’elettronica, degli annali quasi in copia. E non c’è se non di carta. E ancora, dacché la carta è fatta di cellulosa del legno, deperibile in settanta-ottanta anni, di carta acid free. Tutti i supporti elettronici sono diventati presto perenti, specie quelli delle immagini, e sono comunque soggetti a usura rapida e cancellazioni improvvise, inevitabili.
Nonché non poter essere trasmessa “integralmente”, con la diffusione elettronica delle immagini, i dati, le riflessioni, quella che è il fondamento della storia e dell’umanità resta periclitante, eternamente da ricostruire.  

Parole – Fanno il pensiero – retroagiscono.
Dopo la ricreazione postmoderna va ora la filosofia (esegesi) delle parole, in senso connotativo: silenzio, gelosia, vergogna, dispetto, indugio.... Un pensiero delle sfumature.  

Relativismo – È relativo. Umberto Eco ne elenca una mezza dozzina – sette per l’esattezza: il pragmatismo di Rorty, l’olismo “alla Quine”, il soggettivismo di Kant, quello degi antropologi, quello dei realisti, le interpretazioni di Nietzsche, e quello dei tanti “filosofi cristiani” (“le nostre rappresentazioni del mondo non ne esauriscono la complessità, ne sono sempre visioni prospettiche, ciascuna delle quali contiene un germe di verità” - “Pape Satàn Aleppe”, 264). Ma altrettanto lo è la posizione opposta  nella polemica, il “fondamentalismo”.

Stupidità – Governa – governerà – il mondo ? Più sei stupido, più sei convinto di non esserlo è “l’effetto Dunnig-Kruger”, i due ricercatori che lo identificarono nel 1999. Più cioè sei convinto di essere nel giusto, e intelligente. Senza dialettica possibile.
Il mondo dunque è degli stupidi? Si può dirlo: la stupidità è una sorta di minimo comune denominatore dell’intelligenza – il gradino più basso se l’intelligenza è una piramide, o comunque il livello minimo di conoscenza, in conclusiva. Ma è inattaccabile. È questa la sua “qualità” differenziale – che la differenza dall’intelligenza. Ogni altro modo di essere e rapportarsi è scalfibile, per convinzione o semplicemente per buona educazione. La stupidità è un mondo a sé – si dice che siamo alternativamente intelligenti e stupidi, ma quella è un’altra cosa, la stupidità non fa concessioni.

Visibilità – Farsi vedere sembra il godimento e il premio massimi cui aspirare, per l’uomo, e la donna, della strada. La passione dell’epoca: mostrarsi, esibirsi. Anche se non si ha granché da mostrare e sesso non si sa cosa dire. Umberto Eco ne ha fatto il centro della riflessione da ultimo, in molte “bustine di Mnerva” orai raccolte in “Pape Satàn Aleppe”. Un tempo si chiamava esibizionismo: non è una novità, la novità e la sua ubiquità, in tv, sui giornali, per strada, nelle cronache.
Discutendone con Javier Marìas, lo scrittore spagnolo gli fa balenare la possibilità che questo esibizionismo sia un Ersatz per Dio, ora che Dio non c’è più. Che era lo Spettatore di tutti, in qualsiasi situazione. “Dio sa” era la formula d’uso (cosa penso, cosa ho fatto, cosa vorrei o non vorrei, etc, “sa Dio…”. “Scomparso, rimosso, questo testimone onniveggente, che cosa rimane?” si chiede Eco: “L’occhio della società, l’occhio degli altri, a cui abbisogna mostrarsi”. Si spiegherebbe il ribaltamento, dalla privatezza e anche la segretezza delle proprie cose, specie le più intime, alla loro esibizione in pubblico, specie dei panni sporchi.

zeulig@antiit.eu 

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