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martedì 21 febbraio 2017

A Heidegger non resta che Dio

Heinrich, nipote del filosofo, figlio dell’amato e fidato fratello Fritz, è sacerdote. Dello zio ha ricordi solo affettuosi – come il padre, gli è molto affezionato. E di persona a suo modo devota. Devota ai genitori, praticanti, dei quali fu sempre figlio riguardoso. Ma anche di suo. Per il Natale e le altre feste, compresa la consacrazione del nipote Heinrich, di cui fu parte trepida. E in privato, in famiglia e con gli amici. In questo senso facilitato dalla zia sua moglie, Elfride, che pure era di confessione protestante.
Una testimonianza per molti aspetti prevenuta, di un nipote che idolatra lo zio importante e paterno. Ma senza miscoscerne gli errori, e anzi anticipando la “scoperta” su cui gli incondizionali si dicono incappati con i “Quaderni neri”. E non senza argomenti di spessore, biografici e critici. Questo sito aveva già presentato la sua memoria all’uscita nel 2011:
Vale riprenderla alla luce delle novità editoriali – dello Heidegger antisemita.
Un’edizioncina pregevole, con notevole apparato di immagini. Di Messkirch, il luogo degli Heidegger, altrimenti conosciuta per Pfefferkon, e per il il suo Maestro senza nome, ottimo pittore. In forma di intervista, con Pierfrancesco Stagi, che la fa precedere da un’ottima introduzione, corposa e insieme agevole. Dove la formazione cattolica, e a un certo punto anche la vocazione sacerdotale, di Heidegger chiama la sua “spina nel fianco”, e insieme la “fonte viva” della sua riflessione. Per la conoscenza e l’amore delle Scritture, della Patristica, e di Bernardo di Chiaravalle, della sa “filosofia «monastica»” – di cui Stagi è peraltro studioso. E per la lettura del protestantesimo come un “correttivo… un raffinamento” del cattolicesimo – virgolettato che Stagi ricava dalla corrispondenza con Bultmann. Per la “molteplicità di riferimenti alle problematiche religiose e del sacro”.
Dal nipote e da Messkirch la conferma che Heidegegr giovane pensò di farsi benedettino a Beuron. Monastero che tornerà a visitare almeno una volta l’anno, e del cui coro conservava e ascoltava di frequente un disco. È del resto autore di una “Fenomenologia della vita religiosa”, e di un  “Fenomenologia e teologia”. E non sottoscrisse mai il “Kircheaustritt”, la rinuncia alla confessione religiosa nella quale si è registrati, al battesimo (nel suo caso) o volontariamente – a fini fiscali, per il prelievo della “decima, del’obolo per il mantenimento delle chiese. Di sentimento religioso più che di fede - a Beuron era devota tutta la famiglia Heidegger, soprattutto gli amati genitori, ma anche Martin e Fritz. Ma non senza effetti. La fede è stata forte, fino alla vocazione: Martin non diventa gesuita per uno scompenso cardiaco, i gesuiti si vogliono sanissimi. E uscendo dal collegio gesuita si iscrive a Teologia. Sono radici non senza frutti: Stagi ha anche qui buon gioco, a dire “la questione dell’essere come questione fondamentale della filosofia cattolica”.
Stagi segna anche un punto opponendo la concezione religiosa di Heidegger a quella degli heideggeriani, più o meno, che della religione e del cristianesimo fanno grande caso ma limitandolo al fatto storico culturale: un telos storico Vattimo, un’etica senza carattere redentivo Vitiello, Cacciari, Agamben. Heidegger nega che il cristianesimo si possa considerare solo un “fenomeno universale della storia del mondo” e, insieme, che la teologia sia discipina cristiana.
Sulla lettura di Stagi in realtà concorda anche Vattimo, nella prefazione a “Il giovane Heidegger. Verità e rivelazione”, dello stesso Stagi: “Non è per nulla stravagante pensare che, detto in termini molto brutali, Heidegger diventi nazista quando smette di commentare san Paolo e si mette a commentare Hölderlin”. E ancora: “Con tutte le cautele possibili, sembra innegabile che lo Heidegger che abbraccia il nazismo è uno Heidegger che tradisce il proprio distacco polemico dalla metafisica greca, dunque la sua posizione originaria a favore di san Paolo (letto con Lutero) e contro san’Agostino”. Anche se, bisogna dire, la “posizione originaria” di Heidegger è con sant’Agostino – una convergenza specialmente sottolineata da Bernhard Casper, uno dei maggiori studiosi di Heidegger, nella raccolta tematica “Heidegger e San Paolo”, curata da Aniceto Molinaro,

Heinrich Heidegger fa larga parte alla religiosità della zia Elfride, la moglie del filosofo. Con particolari illuminanti rispetto ai dati biografici noti. Protestante, Elfride i figli educò nella confessione luterana, ma non chiusa: erano anni, tra la prima e la seconda guerra, in cui  due ambiti, cattolico e luterano , si interrogavano e si frequentavano. E fu sempre rispettosa della religiosità degli Heidegger a Messkirch, presso i quali mandava sempre l’estate  suoi due figli, per familiarizzare coi nonni e i cugini. Il matrimonio di Elfride e Martin fu celebrato dal futuro professore di Dogmatica Engelbert Krebs in quanto sacerdote cattolico, nel Duomo di Friburgo, testimone per lo sposo Heinrich Ochsner, il suo primo allievo, che era stato novizio a Beuron. Martin mandava libri di religione al fratello Fritz, che ne era appassionato. Al nipote Heinrich per la sua prima messa regalò l’edizione Migne di sant’Agostino, undici volumi più supplementi. Partecipò commosso alla festa per l’ordinazione: il giorno della prima messa, l6 giugno 1954, tenne un discorso celebrativo. Tre anni prima per Natale aveva regalato a Heinrich il suo “Messale”, “il piccolo libro della messa dei suoi anni di studente, che non era relegato lì da qualche parte ma messo al centro della sua grande libreria, tra i suoi libri di lavoro”. E in genere partecipava a tutti i riti familiari: “Se c’era un’occasione che lo richiedesse, qui a Messkirch o altrove, lo zio Martin prendeva sempre parte alla messa e lo faceva con piena partecipazione spirituale”.
Heinrich ricorda anche la “famosa espressione” della lettera a Jaspers dell’1 agosto 1935, delle “due spine”, “il contrasto con la fede delle origini e il discorso del rettorato – sufficienti a procurarmi quel che vorrei lasciarmi alle spalle”. E “più tardi”, ricorda Heinrich, “aggiunge che la sua filosofia senza la teologia rimaneva incomprensibile”. Ovvia ma acuta anche l’osservazione sul nazismo dello zio: “Nei decenni dopo la Seconda Guerra mondiale molte persone pensavano che egli dovesse finalmente confessare la sua colpa e il suo pentimento”, in riguardo alle “due spine”: “Nel dialogo con lo «Spiegel» del 23 settembre 1966, se lo si sa leggere, egli ci ha fornito la sua risposta”. Il riferimento è all’“ormai solo un Dio ci può salvare”, con cui la rivista fece il titolo. Si è nascosto, insomma, pure lui, per l’eclisse della chiesa e del sacro.
Heinrich Heidegger, Martin Heidegger, mio zio, Morcelliana, pp. 106 € 12

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