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domenica 26 marzo 2017

Secondi pensieri- 300

zeulig

Epistemologia – È narrazione. Immaginiamo uno scienziato che intenda ricostruire nei dettagli la storia e gli assetti (sinonimo per trama) del mondo. Una vita è quel mondo. Ma per vivere - e cioè per essere significativo, comunicabile - quel mondo ha bisogno di uno che lo rappresenti e lo comunichi. Anche questo è compito dello scienziato: non solo vivere il mondo ma rappresentarlo.
È questo il problema centrale dell’epistemologia, di quanto mondo e rappresentazione siano obiettivi. Ed è il problema della storia e dell’autore.
Poi però c’è il problema della stessa obiettività: se l’oggetto si definisca in rapporto a se stesso, oppure ad altro dato esterno. In questo secondo caso si entra nel terreno impervio di Dio e della creazione. Nel primo caso c’è il problema della cosa in sé‚ che è il problema del punto di vista. Per quanto accurata una ricostruzione-identificazione possa essere, restano sempre fuori dei residui che necessitano una messa a punto. A volte piccoli spostamenti o mutamenti generano ampi spazi di conoscenza, riconoscimento, svelamento.
Lo stesso scienziato-osservatore comunque è parte della rappresentazione e necessita una messa a punto. Lo scrittore Nabokov ricorda che, quando si firmava Sirin, il critico George Adamovic ne lodava la scrittura in prosa ma invariabilmente ne condannava i versi. Un giorno Nabokov firmò un poema Shishkov - poema peraltro intitolato “I Poeti” - e Adamovic ne fu entusiasta. Una cosa in sé, che è una scrittura caleidoscopica. 

Estinzione – È la parola ricorrente: di animali, specie, sentimenti, oggetti, funzioni. Dell’amore, della fede. Dell’intelligenza, che pure questa estinzione e l’idea stessa di estinzione in vari modi genera. Dell’immortalità (aldilà) e dell’infinito. Si ipotizza anche l’estinzione del genere umano – finisce l’acqua, finisce l’aria. Mentre l’evoluzione sembra essersi fermata, resta Darwin ma non se ne trova traccia nella storia, nulla cresce tutto deperisce. Una forma di scongiuro, ma un forte senso di decadenza, di fine – è la cultura della crisi.
Si moltiplica, sotto questa deriva, il reimpianto di specie animali ovunque, anche in habitat non adatto e non precedente, per prevenirne l’estinzione – si vorrebbe, si spera, di ricreare i dinosauri. Anche se dannosi all’ambiente e alla salute. E di specie vegetali anche infestanti.

Heidegger – Jankélévitch, 1965, “L’imprescriptible”, ha i “galimatias” di Heidegger, le manfrine, oltre che “i discorsi senza capo né coda” che si propongono per “profondità filosofiche”. Per camuffare, sostiene, il pensiero nazionalsciovinista.  
In effetti i pensieri di Heidegger hanno capo e coda, e anche trasparenti. Ma “manfrine” non è male.

Ora che l’antisemitismo di Heidegger è dimostrato, non se ne parla. Non quello storico-metafisico dei “Quaderni Neri”, che ha anzi aperto l’ennesimo filone di pensiero heideggeriano. Quello bieco e pratico, dell’uomo comune, del “Mein Kampf”. Che non era ignoto, ma ora viene incontestato nello stesso volume “Heidegger und der Antisemitismus”, che il nipote Arnulf ha pubblicato qualche mese fa. In cui fa spazio a studiosi pro e contro, ma pubblica alcune delle 500 lettere scambiate dal filosofo col fratello Fritz (le lettere, depositate all’archivio di Marbach, sono ancora in proprietà agli eredi) che l’antisemitismo del filosofo e il fervore hitleriano documentano di prima mano. Specie di fronte alla riserva di Fritz, antirepubblicano, pure lui, ma non entusiasta di Hitler. Che, curiosamente, a un certo punto assomiglia al fratello: “Non so se è una fantasia: tanti atteggiamenti e lo sguardo di Hitler nelle immagini di oggi mi ricordano te”.
Gli apprezzamenti heideggeriani del futuro Führer corrono a partire dal 1930. Per Natale del 1931 il filosofo manda a Fritz in regalo il “Mein Kampf”, con una serie di elogi di Hitler. Subito dopo il governo centrista minoritario di von Papen, del centro cattolico, presenta come una congiura ebraica. Il 13 aprile 1933, tre mesi dopo l’avvento di Hitler, nota di passaggio: “Tre ebrei sono scomparsi qui nel mio dipartimento”. L’astio trapela anche dopo la guerra: “Una Heine Strasse mi sembra proprio del tutto eccessiva, oltre che senza senso a Messkirch”, il paese della famiglia Heidegger, scrive il 31 luglio 1945. Ma, poi, già nella corrispondenza nota con la moglie, in una delle prime lettere, da fidanzati, lamenta nel 1916 la “Verjudung”, l’ebraizzazione, “delle nostre cultura e università”.  Il pregiudizio non muta la lettura filosofica?

Resta naturalmente da conoscere la corrispondenza, se c’è stata, con i tanti allievi ebrei poi divenuti filosofi di professione, oltre che con l’innamorata Hannah Arendt: Löwith, Marcuse, Jonas, Leo Strauss, Elisabeth Blochmann, Werner Brock, il suo assistente fino al 1933.

Limbo – È in via di eliminazione, l’esilio perpetuo dalla beatitudine divina dei fanciulli morti senza il battesimo, e luogo di “beatitudine naturale” per gli spiriti magni venuti prima del Cristo. Si elimina come tutto ciò che attiene all’aldilà, in un’epoca che si vuole razionale – la cancellazione del limbo non manda i suoi piccoli in paradiso. E soprattutto come le mezze misure, o sfumature: una cosa è oppure non è, questa è la razionalità semplice che si vuole. Che è la ratio dell’utile e dell’inutile. Non nel senso dell’utilitarismo ma della “verità. Nel cui nome si abolisce anche l’immanenza, e ogni senso di religiosità, per una forma di libertà analoga a quella di verità, dal timore, la fede, la speranza. Senza radici, e senza fronde.

La chiesa lo elimina anche nel quadro di una revisione radicale del concetto di peccato originale, della nascita nel peccato. A fronte delle non nascite, e della pratica comune dell’aborto. Già in passato era successo: il limbo non era stato abolito ma attenuato molto - per motivi di opportunità se non demografici come oggi - con i cosiddetti “santuari della resurrezione”, dove gli infanti morti senza battesimo si “resuscitavano” il tempo necessario per impartire loro il battesimo e salvarli per sempre. Oggi la colpa si trasferisce sui genitori, se la morte interviene per aborto.

Medea – Ritorna mentre si abolisce la gelosia – Giulia Sissa ne fa il primo capitolo del suo trattato  “La gelosia”.  Ritorna malgrado i femminicidi, come quella che non ha il senso della maternità – che attesta un certo femminismo, quella della non diversità, della non differenza fisiologica (e in questo senso di può dire incarnata nella vicenda di un noto politico, che la moglie ha denunciato ai suoi nemici come violentatore, senza peraltro occuparsi dei figli avuti con lui: non sanguinaria come quella di Euripide ma altrettanto aliena dai figli e vendicativa contro il coniuge). E come quella la cui gelosia non ha mezze misure: la Medea di Euripide, di Seneca, e da ultimo di Corneille. Non si fa caso della “Medea” di Corrado Alvaro, e questo è un limite.
Le Medea sono molte. Quella di Grillparzer per esempio è retrattile, debole, vulnerabile, che finisce per far sua, benché da vittima, la colpa e la pena – si vorrebbe dirla generosa, ma allora martire. Quella di Alvaro è politica – come lui vuole, che la dice “antenata di tante donne che hanno subito una persecuzione razziale, e di tante che, respinte dalla loro patria, vagano senza passaporto da nazione a nazione”. Ma sul fondamento originario della Medea che ai Corinzi e allo stesso Creonte si presenta aliena: straniera, “barbara”, “ostracizzata”. Una lettura che ha con la realtà, la contemporaneità.
Il genere (femminismo) non s mescola con la storia – gli avvenimenti – ma senza è solo una petizione di principio, innocua.

Narrazione - Non può che essere veritiera: tout se tient. Se è bugiarda crolla, è come un pilastro portante nella costruzione che si sbriciola - menzogna come non rispondenza di un gesto, evento, discorso. Lo stesso effetto ha la ridondanza. La verità della narrazione è proporzione. Rispondenza ai ritmi e alle misure interne.

Punto di vista - Vernon Lee: nei romanzi di avventure, da Omero a Boccaccio, e alla “Mille e una notte”, e nelle favole, il punto di vista è di nessuno.
Popper direbbe il contrario, ma la narrazione si appartiene. Il punto di vista vi è stato introdotto come una variazione.

Ricorsi – Avviene di leggere in ritardo di cinque anni le memorie di Edna O’Brien, “Country Girl”, ricevute in regalo appena uscite. Di scoprirla autrice di “La ragazza dagli occhi verdi” – tardo premio, dopo trent’anni, Grinzane Cavour. Da cui il ricordo emerge di un film memorabile con Virginia McKenna, uno dei ricordi più vividi del cinema domenica che si proiettava in collegio dopo la parita – dopo la radiocronaca delle partite. Salvo che “La ragazza dagli occhi verdi” è successivo, di quando il collegio era preistoria. E nel film è Rita Tushingham. Mentre nessun titolo della filmografia di Virginia McKenna ricorda qualcosa di analogo.
Ma,di più, in “Country Girl” è questione di Side e Aisling. Sidhe Cosetta Cavalcante, la traduttrice, certifica essere in gaelico “collina” – “e nella tradizione dei miti celtici Sidhe”, così come Aos sì, “indica il «popolo delle colline», folletti e spiriti dotati di poteri magici e soprannaturali”. Aisling O’Brien dice “sogno, visione”. Ora, succede anche di aver coaturato quattro anni fa un romanzo “irlandese”, dal titolo Sidhe”, in cui molto è questione di Aisling. Sono parole ricorrenti, tipo banshee, etc.? È possibile.

zeulig@antiit.eu

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