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giovedì 30 marzo 2017

Il mondo com'è (299)

astolfo

Giudici – “Statemi a sentire”, dice Michael Ledeen di aver detto alla Casa Bianca la notte di Sigonella, quando i marines non riuscirono a prendersi Abu Abbas, il pirata dell’“Achille Lauro”: “Da molto tempo abbiamo sul libro paga alcuni giudici di Roma. Chiamiamoli, svegliamoli, chiediamo un mandato di arresto, sbattiamo Abu Abbas in galera”. Ledeen, storico del fascismo, è, si vuole, un manipolatore delle cose italiane, specie di quelle segrete. Lo dice a Alan Friedman.
Friedman se lo fa dire, nel suo ultimo libro, “Questa non è l’America”, appena poche righe prima di dichiarare che l’Italia è sconosciuta a Washington, e che Washington non se ne cura. Specie della psicosi italica del complotto.
L’allusione di Ledeen è probabilmente a Di Pietro, allora non ancora protagonista, che Friedman non ama. E Ledeen è quello che è, in parte sicuramente un mitomane. Ma non del tutto. E parla ora da vegliardo, attesta Friedman, un po’ recluso in famiglia, a 75 anni. Ma due anni fa prese la penna per tessere sul “Wall Street Journal” l’elogio di Mattarella, che da ministro della Difesa aveva ben lavorato alla guerre contro la Serbia per il Kossovo. E un anno fa è venuto in Toscana al matrimonio di Marco Carrai, l’amico di Renzi, in qualità di testimone.  

Globalizzazione – È italiana all’origine: divisata e preconizzata, e anche avviata, da italiani. Da Marco Polo e Cristoforo Colombo. Così la delinea Michelet nel primo corso sulla storia della Francia al Collège de France nel 1940 – quello celebre in cui conia e impone il Rinascimento, la parola e il concetto (nel mentre che fissa il Medio Evo, forse indelebilmente, come “quel mondo bizzarro e mostruoso, prodigiosamente artificiale”). Il Rinascimento Michelet dice la vittoria del popolo sulla monarchia e le nazioni (che diventerà nella seconda lezione, il 9 gennaio 1840, “La vittoria dell’uomo su Dio”). E indica in Marco Polo viaggiatore in Cina e in Colombo scopritore dell’America gli araldi di un mondo aperto.

Preti – Mantengono un che di tartufesco, e non si capisce perché. La chiesa li vuole separati. Per abito talare, celibato e linguaggio. Soprattutto per il linguaggio, dalle forme alle formalità, le tonalità, il modo di porgere, atteggiarsi, guardare, che perfino nei giovani preti e più moderni, perfino nei talk-show a cui pure ambiscono, è sempre stranamente cerimonioso e disimpegnato. o.  
La chiesa si Roma è in questo l’unica confessione avvinta ai riti, ai ruoli (sacerdozio, celibato...), e al linguaggio ieratico, fuori della norma. La confessione della separatezza. I sacerdoti cattolici non vivono con gli altri e non parlano come gli altri – la serie tv “Don Matteo” funziona perché propone una realtà contraria.
Non si può dire che non pensano come gli altri – i laici – perché non è possibile. Ma allora tanto più non si vede che non possano dirlo come chiunque altro. Se non in forma di birignao, sguardi bassi, allusioni, il tutto in formule confezionate. Lo stesso papa Francesco, che si vuole stia abbattendo tutti i rituali anacronistici, parla e si muove da vecchio prete. La singletudine non spiega più l’eccezione E dunque?
La narrativa che Sorrentino ha voluto farne in “The Young Pope”, della vita quotidiana del prete, sia pure pontefice, nasce da questa alterità. Ne fa tesoro, mostrando un prete-papa come tutti gli altri. Un reintegro del sacerdozio nella vita comune. Uomini e donne che s’incontrano naturalmente. Potenti e non. Laici e religiosi. Preti e madri, o donne in carriera. Come è nella realtà nella vita di ognuno, compresi i preti.
È una concezione meno sacerdotale del sacerdozio? Non necessariamente: la chiesa lo mantiene ieratico e separato senza ragione.

Storia – È europea. Nasce come disciplina e metodologia nel Settecento – a Oxford e Cabridge un secolo prima, nel 1922 e nel 1927.

Terrorismo – Si tagliavano gole, si facevano esplodere automobili col telecomando nella folla, si lanciavano automobili contro i passanti: tutto l’armamentario del terrorismo islamico, meno i kamikaze, sono stati in già in Irlanda e in Inghilterra. Tra l’Ira, Irish Republican Army, i suoi “provo”, e i lealisti di Belfast, tra essi i Macellai di Shankilll. Declassati a “Troubles”, disordini, ma sanguinosi. Per un trentennio circa, fino a vent’anni fa.

Trangender – La prima scuola al mondo per transgender è stata aperta in India dalle suore carmelitane nel Kerala. E presto chiusa, per mancanza di iscrizioni.
La scuola, chiamata Sahaj, è stata inaugurata il 30 dicembre. Aveva dieci iscritti, e intendeva partecipare ai corsi di istruzione online patrocinati dal National Institute of Open Schooling, e  fornire addestramento professionale ai trans dai vent’anni in su. La prima scuola del genere in India, e forse al mondo. Dopo tre mesi, risulta senza insegnanti, e senza più iscritti: quelli originari hanno lasciato mancando insegnanti e programmi. Sahaj funziona ora solo da dormitorio.
Sei suore avevano invitato l’attivista trans Vijayaraja Mallika, molto nota nel Kerala, che da tempo prospettava un’iniziativa del genere, a organizzarla. Ma Mallika non ha fatto nulla.

astolfo@antiit.eu

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