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giovedì 8 giugno 2017

Trump a shale oil

Sulla “New York Review of Books” Tim Parks argomenta che Trump ha privato gli Usa, rifiutando gli accordi di Parigi sul clima, di un salvagente  prezioso più per gli stessi Usa che per gli altri.
I termini dell’argomentazione sono giusti. Trump, che si vuole presidente e primo azionista dell’azienda America, fa un errore escludendo il suo paese dalla leadership del business energia pulita. Però decuplica, moltiplica, le riserve americane di fonti di energia. L’una cosa del resto non esclude l’altra, che è un fatto di tecnologia – dominare il business verde.
Proviamo a ragionare nell’ottica della decisione, dell’abbandono dell’accordo di Parigi. Si apre la possibilità negli Usa di sfruttare il carbone e le altre fonti di energia inquinanti. Soprattutto gli scisti, da cui si ricava un non ottimo petrolio – ma buono da bruciare per fare elettricità -  e un ottimo gas, più calorico del gas naturale. È ben un calcolo da presidente e uomo d’affari, quale Trump si impersona - vedi l’attacco agli europei, che non pagano per la loro difesa, e per di più attaccano il difensore col mercantilismo tedesco (l’euro svalutato, salari da sussistenza, politiche commerciali aggressive, al limite del dumping).
Il Nord America si voleva qualche anno fa, quando il petrolio era salito a 100 dollari al barile, il nuovo Medio Oriente, grazie al petrolio e al gas da scisti bituminosi (shale oil, shale gas). Ancora l’anno scorso, ancora con Obama, gli Stati Uniti si proclamavano il paese con le maggiori riserve mondiali di idrocarburi, più dell’Arabia Saudita. Grazie agli scisti:la metà delle riserve “stimate” erano in unconventional shale oil, petrolio da scisti..
Quelli degli scisti sono giacimenti di cui non si conosce la consistenza, ma valutati enormi, sui tremila miliardi di barili di petrolio. Di riserve quasi tutte in Nord America, tra Stati Uniti e Canada. Le  riserve provate sono un decimo, 345 miliardi di barili. E di questi la quota maggiore è della Russia, 75 miliardi di barili. Seguita da Usa e Pakistan con 58 milioni, e dalla Cina con 32.
In alternativa, o in aggiunta, e ciò può spiegare la speciale sensibilità sul Venezuela, ci sono le riserve da sabbie bituminose. Di cui il Venezuela è il più ricco: le sabbie bituminose dell’Orinoco si stimano potenzialmente le maggiori riserve mondiali di petrolio.
Da quindici annui l’“Oil & Gas Journal” quota gli scisti tra le fonti di energia. Ma lo sfruttamento non è redditizio. Non col greggio a 50 dollari: la soglia di redditività è elevatissima, sui 75-80 dollari a barile. In Europa se ne produce, poco, in Russia, Estonia, Gran Bretagna, Germania, Francia, ma, paradossalmente, a titolo di fonte alternativa, a prezzo sussidiato.
Il paradosso europeo sta nel fatto che lo sfruttamento degli scisti è inquinante. La forma peggiore di inquinamento da fonte di energia, peggio del carbone. Sia per l’estrazione che per il trattamento. Trump è anche il bambino che dice al re nudo che è nudo. 

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