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lunedì 8 gennaio 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (350)

Giuseppe Leuzzi

Eugenio Scalfari elogia senza riserve Minniti nel suo sermone dell’ultimo dell’anno su “la Repubblica”. Per tantissimi motivi, tutti molto lusinghieri:
Tanti, eccetto il più importante: che Minniti è calabrese, quale al fondo l’affettuoso Barbapapà si sente, per i ricordi d’infanzia e gioventù, nella memoria del padre.

C’è più liquidità al Sud che al Nord. Al Sud che ha un reddito medio pro capite dimezzato rispetto a quello di Milano? Si fanno di queste statistiche strane, ma non contraddittorie. La liquidità è maggiore non sul reddito medio ma su quello dei lavoratori dipendenti. Che al Sud hanno più risparmi. Il costo della vita è minore. Più nelle aree non urbane, essendo le società meridionali più prossime all’economia di sussistenza: produzione\consumo, assistenza familiare (madri, sorelle), casa di famiglia. Quest’ultima, l’abitazione gratuita, è il cespite primo del risparmio, sia pure a costo per molti di ore di pendolarismo quotidiano, da e per i centri di impiego. Un impiegato a Milano conta i centesimi, a Reggio Calabria è abbiente.

Mori i martiri di Milano
Vittore, Nabore, Felice, i primi pii Mediolani Martyres, dice sant’Ambrogio nell’inno che loro dedica, erano solo ospites, Mauri genus, “di stirpe mora, nel nostro territorio ospiti”, “e nella nostra patria stranieri”, terrisque nostris advenae. Potrebbero ora autorizzargli una moschea. Una vera, non un garage.
Anche sant’Agostino, altro immigrato da giovane, dev’essere satto un po’ moro.
Sant’Ambrogio già peraltro sapeva, nello stesso inno ai martiri, che “per l’uomo la fede è uno scudo\ e morte il trionfo”. Vescovo democratico, scelto dal popolo, già ne conosceva gli umori leghisti?

L’etnicità limita
Tornano a proposito di Philip Roth, che entra nei “Meridiani”, e dell’ultimo Auster, “4 3 2 1”, della letteratura ebraica sugli ebrei, i romanzi, il teatro, gli stessi film, i dubbi sulla sua valenza. Non letteraria o estetica – questa è scontata, poiché se ne parla. Ma di opportunità, e anche di scelta di vita.
“Piccolo mondo ebraico” titola “Il Sole 24 Ore” la presentazione che Luigi Sampietro fa di Philip Roth, massimo rappresentante attuale di quella letteratura – della sua consacrazione nei Meridiani. Uno che per cinquant’anni ha riscritto lo stesso libro. Da “genio della scrittura che porta a spasso i lettori al guinzaglio”. Ma sempre sul “sogno di ripudiare e allo stesso tempo rimanere attaccato all’universo ebraico e provinciale nel quale era cresciuto”. Uno che mette in piazza, a suo dire, “segreti tribali”.
Non un rifiuto ma una rivolta, contro una condizione opprimente: il dover essere ebreo in ogni piega. In un nodo di relazioni segnate dall’ebraismo come in un ghetto aperto. Volontario ma astringente: psicologico, mentale. Una sorta di tribalismo. Non necessitato, al punto che P.Roth può esercitarvisi con l’umorismo, e anche col sarcasmo – i suoi romanzi sono un ginnastica vertiginosa attorno a un punching-ball di totem e tabù familiari, etnici.
La letteratura etnica non è quella delle origini, o della differenza – rispetto al mainstream, in termini americani, al linguaggio dominante. Alla maniera, per dire, degli americani italiani, Talese, Fante, Di Donato, lo stesso Puzo malgrado le semplificazioni a effetto del “Padrino” – o Frank Sinatra, o Frank Capra, Coppola padre, Scorsese. È una letteratura chiusa in sé e specifica, di tematiche ebraiche – gli interdetti alimentari, l’ortodossia e il conservatorismo (due correnti revivalistiche), la figura del Cristo, la chiusura etnica (tribale). Che ora va, ha un mercato, ma si configura circoscritta, perfino singolare.
Aiuta a mettere il caso a fuoco lo stesso Philip Roth con la raccolta di racconti “Goodbye, Columbus”, che a 28 anni lo consacrò grande letterato.  Tutti su questo suo rifiuto-inclusione che lo caratterizzerà, eccetto uno. Il racconto non ebraico, “Non si può giudicare un uomo dalle canzoni che canta”, è sugli italiani della scuola, due ragazzi del riformatorio e un professore comunista: è il racconto di un altro mondo. Non nel senso della separatezza, della diversità. Ma di una diversità senza complessi: sono italiani, parlano, pensano, agiscono, ma non se lo dicono, non lo sanno, non stanno a compitarlo. 
Come tutto certo, il troppo stroppia: il tribalismo fa male come lo sradicamento – per esempio la letteratura di Baricco e i suoi epigoni, senza luoghi, senza persone, senza anime.

Rifiuti tossici
Mercoledì brucia una vecchia fabbrica-discarica di plastiche e “rifiuti vari di difficile definizione compattati e steccati lì da tempo”, nei pressi di Pavia, a Corteolona e Genzone.  Le scuole vengono chiuse per una settimana, a Corteolona e Genzone e in altri comuni limitrofi, i vigili del fuoco sanno che si tratta di rifiuti tossici, c’è un’inchiesta giudiziaria. Ma la cosa non fa notizia sul “Corriere della sera” giovedì. Nemmeno una breve. Né i giorni successivi.
Dopo le discariche di rifiuti tossici in Toscana, a Massa e a Livorno, nemmeno la diossina a Pavia fa notizia. A meno che non c’entri un domani, magari solo per indizio, anche in posizione ancillare, un mafioso, un meridionale qualunque, anche di seconda generazione, di terza.
C’è corruzione, abuso e violenza dappertutto in Italia ma sui giornali e in libreria solo al Sud. A opera di scrittori meridionali, prevalentemente. C’è caporalato anche al Nord, ma per i sociologi, specie i meridionali, solo al Sud. C’è mafia, bastino la droga, la prostituzione, il lavoro immigrato, ovunque in Italia, anche a Belluno per dire, o a Rovigo, ma per i meridionali intelligenti solo al Sud.  Bisognerebbe aprire al Sud le porte del Nord? No, c’è libertà di circolazione da sempre, e perfino di residenza. No, è l’esercito dei raccoglitori d’immondizia per i caporali dell’editoria del Nord.

Dalla chiesa alla ‘ndrangheta
Il cordax o cordace, danza che wikipedia apparenta alla tarantella, Umberto Eco fa ballare in “Baudolino” a una prostituta, in chiesa. Un prestito, dirà dopo (nella raccolta che ora si pubblica di conferenze “Sulle spalle dei giganti”), da Dmitrij Merežkovskij  il profeta del simbolismo in Russia prima della rivoluzione di Ottobre, autore di romanzi filosofici di immenso successo ai primi del Novecento, anche in Francia, a Londra e in Italia fino alla guerra. Un prestito da un romanzo da lui letto da ragazzo, “Giuliano l’Apostata”. Ma in chiesa si balla, si ballava fino a ieri – fino al 2015, a Polsi, come nell’antica Grecia, si ballava nel recinto del tempio

Merežkovskij lo fa ballare nel cap. VI, sull’uscita notturna di Gallo, il fratello maggiore di Giuliano, travestito da vecchio Agamennone per le vie di Seleucia in Siria – un episodio ispirato al “Satyricon” di Petronio. In un night-club fa seguire al giocoliere una ballerina nubiana slanciata, flessuosa, “una fanciulla quindicenne, per eseguire un cordax, una danza famosissima molto amata dal popolo”.  Benché condannata dalle “autorità ecclesiastiche” e proibita dalle “leggi romane” – Merežkovskij non dice perché: perché ritenuta “liberatoria”, degli umori e quindi degli istinti. La ragazza crotalistria, suonatrice di  crotali, o nacchere, è “agile, sottile, velocissima come un serpentello”. Danza prima svogliatamente, poi sempre più rapida, fino a un’acme, seguita da un improvviso silenzio, dei crotali e delle lire. Poi non disdegna di accompagnarsi a Gallo.
È il cordax – che usa anche al femminile, la cordace - il progenitore della tarantella? Non si può sapere, non si sa nulla, o quasi, della musica greca. Del cordax si sa giusto che è il ballo che intervalla le commedie greche. La giornalista Maria Barresi fa derivare la tarantella dal cordax nella sua tesi di laurea, ma fa anche della tarantella, chissà perché, il ballo della mafia, “Il Kordax dalla Grecia alla mafia”.
Con più probabilità la tarantella deriva dal sikinnis, il ballo dei satiri, anch’esso come il cordax inteso a propiziare la Fertilità. Il cordax, un ballo mascherato, è detto dai testi antichi “lascivo”, “sguaiato”, “osceno”, mentre il sikinnis, detto “vivace”, “rapido”, “vigoroso”, al più “sapido”, risponde meglio alla tarantella aspromontana, che si balla in coppia, variamente assortita da un maestro di ballo tra i partecipanti disposti in circolo – “quando c’è ruota c’è festa”, dice il maestro Battaglia, dell’Associazione dei Suonatori di Cardeto.

leuzzi@antiit.eu

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