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giovedì 11 gennaio 2018

Letture - 331

letterautore

Amore-morte – Zamjatin, “Noi”, 1920, ne aveva già la formula matematica: A = f (M).

Dante – Presentando la traduzione in francese di René de Ceccaty – la più originale, in ottave – Carlo Ossola censisce sul “Sole 24 Ore” una dozzina di traduzioni della “Divina Commedia” in francese, tutte in commercio contemporaneamente.

Italia – È materia letteraria per mezza Europa – e anche per gli Usa. Da sempre. Forse più che la Francia o la Spagna – è comunque la latinità materia letteraria. Senza confronto anzi con analoghe appropriazioni di nomi, personaggi, storie, luoghi, ambienti di altri paesi, quali la Francia e la Spagna – sempre, comunque, paesi latini. Da parte dei tedeschi soprattutto, da Goethe a Thomas Mann – e a Ingebrg Bachmann, Henze, Enzensberger. Degli inglesi, da Shakespeare e Milton D.H.Lawrence, con mezzo Ottocento (Byron, Keats, Shelley). Dei francesi naturalmente, Stendhal, Dumas, e molti contemporanei. Degli americani, Hawthorne, Henry James, Edith Wharton, Hemingway, Pound. Dei russi. Degli spagnoli. Oltre alla vasta produzione del Grand Tour, di letteratura di viaggio.
Curiosamente, non c’è l’analogo in Italia, un interesse di poeti e scrittori per storie e vicende di Francia o Spagna, o Germania. Per non dire l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Benché l’Italia sia stata per un secolo e mezzo terra di emigrazione. Quando c’è “l’America”, nei romanzi recenti di Mazzucco o Gangemi, è solo un riflesso estraneo e quasi ostile. Non c’è peraltro una letteratura italiana di viaggi. Come se l’Italia, che esercita molto fascino sui non italiani, mancasse di curiosità.

Morte a Venezia – Perché non leggere il racconto come una parafrasi, in chiave omosessuale, dell’innamoramento di Thomas Mann per Katja Pringsheim, che sarebbe diventata sua moglie, madre con lui di sei figli?
In “La questione ebraica”, 1921, Mann accenna ai racconti di ambiente ebraico da lui scritti. “Sangue velsungo”, sulla famiglia della moglie, “L’eletto”. E anche a una poesia: “Un’altra volta a proposito del tema ebraico mi sono addirittura abbandonato ai versi”. Nei quali ricorre un “protetto”: “Come la prima volta a Venezia in appagamenti onirici e delizia\ Ancora una volta il cuore fluttuò dieci anni più tardi\……. Allora, mio protetto\ quando io, con giovanile desiderio di esaltazione, lasciai sulla dolce figura\ posare i miei occhi, il destino si abbatté su di te,  ti chiamò la Voce…”. Ma perché il “protetto” non sarebbe la moglie Katja? Di famiglia ebraica. Con la quale l’amore era sbocciato in un incontro a Venezia. Con “giovanile desiderio di esaltazione” , lui essendo già di trent’anni e scrittore affermato.
O è propriamente di un lui che si parla? Ma un lui ebreo? Il saggio-intervento “La questione ebraica” fu ritirato da Thomas Mann, dall’editore Fischer che lo aveva in composizione, per l’irritazione di Katja.

“Morte a Venezia” com’è noto Th. Mann aveva finito per dichiarare “pre-fascista”, un po’ al modo del post-fascismo di Pasolini in “Salò-Sade”, rovesciato: qui si tratta della distruzione dei corpi, lì della glorificazione. Il 26 gennaio 1938, mentre sta lavorando a “Fratello Hitler”, Mann annota nei “Diari” di aver conversato con Ferdinand Lion  del “nazionalsocialismo anticipato di vent’anni nella «Morte a Venezia»”. E il 30 maggio, due mesi dopo la pubblicazione di “Fratello Hitler”, scrive a Agnes E.Meyer, a proposito della tendenza di Aschenbach, quasi un autoritratto, alla semplificazione: “Erano tendenze di quell’epoca, che stavano nell’aria molto prima che circolasse la parola «fascismo» e che quasi non si riescono a riconoscere nel fenomeno politico che porta quel nome. Eppure hanno a che fare in una certa misura con esso, e sono servite alla sua preparazione morale”.

Rete – “La Rete è nata come strumento militare e le persone che la utilizzavano erano chiamate cowboy perché  si trovavano in una zona di frontiera, libera.  Ora è un grande supermercato, un’arena piena di gladiatori  convinti di potersi permettere di tutto”, Gabriele Salvatores, “Sette”.

Romanzo – La fine del romanzo o la fine della critica? La fine del romanzo è stata annunciata molte volte dopo la guerra – va con la pace? Ora, qualche dato sembra confermarla. Sull’onda dell’apocalisse annunciata dieci anni fa da Philip Roth, al momento di prendere i voti del silenzio: “Fra venticinque anni i lettori dei romanzi saranno di culto. Ci sarà sempre gente che li legge, ma in piccoli numeri. Forse un po’ di più di quanti leggono la poesia latina, ma in quell’ordine di grandezza”.
Il mercato americano sembra dargli ragione: nei cinque anni al 2017 ha visto le vendite di romanzi contrarsi del 23 per cento. Il genere va peraltro contro le abitudini di lettura che l’elettronica  dominante induce, ai messaggi brevi, o alle storie televisive, che scorrono veloci, e ogni giorno in gran numero .
Sulla “New York Review of Books”, lo scrittore anglo-bengalese Zia Haider Rahman ha un’opinione diversa, non peregrina: è la morte del critico che affetta piuttosto il romanzo letterario. Perché, riflette, il romanzo in sé è fiorente più che mai. Seppure nelle forme del film, del film-tv, del docu-film. Per le quali forme molti romanzi sono scritti, è vero, rapidi e superficiali, sceneggiature per cicli d’immagini. Ma questo non pregiudica il romanzo letterario – il fogliettone o romanzo seriale d’intrattenimento è sempre esistito, accanto a quello più propriamente “scritto”. Ciò che abbatte il romanzo-romanzo è la critica. Svanita, se non nelle forme di goodreads,  “un braccio del behemot amazon”, o allora delle classifiche di vendita dei libri – che sono in vari modi influenzate dall’industria libraria.


Una rivendicazione del genere a tutto campo fa, come “moderna epopea della prosa”,  Thomas Mann nella lettera a Korrodi, critico letterario svizzero, e alla “Neue Zürcher Zeitung”, del 31 gennaio 1936, “nella sua spiritualità analitica, nella sua consapevolezza, nella sua innata propensione alla critica”. Una vindicatio senza riserve: “E inoltre la ricchezza dei mezzi, il muoversi libero e dinamico tra creazione e indagine, conoscenza e musica, mito e scienza, il panorama umano, l’oggettività e l’ironia fanno del romanzo quello che esso è nella nostra epoca, la più importante e rappresentativa delle creazioni letterarie”. 

letterautore@antiit.eu

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