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mercoledì 26 settembre 2018

Secondi pensieri - 360

zeulig


Da… fino a – L’Atac minaccia per chi aggredisce i suoi autisti “pene fino alla condanna e alla reclusione” – un “fino a” che l’Atac rende in inglese con even, “perfino”. L’allarme è più dissuasivo se la pena non è più certa?
È l’epoca. Tra i lessemi commerciali è scomparso il prezzo. Che per estensione si può intendere della legge, le cui pene non sono più certe, come da codice. Non c’è più una cifra nei contratti e negli acquisti ma un’ipotesi. Che sia numerata non ne cambia la natura, di prezzo ipotetico. Ogni abbonamento è incerto, ai telefoni e non solo, nell’estensione, la scadenza, il canone tariffario, ogni tariffa lo è, e ogni canone. Le pene non sono più stabilite, sono “fino a”. È un linguaggio che si vuole rassicurante ma è minaccioso. Ellittico, come di marionetta dietro cui solo il puparo conosce svolgimento e senso. Sa tutto chi sta dietro. Una forma dell’incertezza che conclude al complottismo – la sicurezza del complotto.

Donna - La donna è e non sarebbe concepibile. Nella fisica e nella metafisica. Le sue forme, la sua funzione, le fantasie che le sono cresciute addosso, nessun genio umano potrebbe inventarle.
La procreazione stessa è inconcepibile se non fosse. Più delle condizioni concluse, all’apparenza razionali, dell’immortalità e la morte, poiché è entrambe, e quindi è più di ognuna di esse.
Ma è l’immaginazione che apre la via alla ragione, non bisogna temere l’ignoto. Si potrà nascere senza donne, è fatale, come già senza l’uomo.

Memoria – È disordinata, eclettica, rapsodica. Anche quando si vuole ordinata, regolata – semmai allora abusiva, impositiva. È malleabile, si sa, anche nel ricordo involontario. Anche quando si storicizza, malgrado i tanti paletti del metodo storiografico.
Iosif Brodkij, “Una stanza e mezzo” (in “Fuga da Bisanzio”) l’accosta per questo all’arte: “Ciò che la memoria ha in comune con l’arte è il dono della scelta, il gusto del particolare”. O anche alal biblioteca-invenzione di Borges, ma in senso deteriore: “La memoria somiglia essenzialmente a una biblioteca in disordine alfabetico, e in cui non esiste l’opera omnia di nessuno”.

È interdittiva, può esserlo, più che liberatoria. La memoria di Proust lo ha liberato. Almeno si suppone: era quello che ha voluto fare, e lo ha esaltato. Ma è una prigione. “Memoria lunga, vita corta”. Dice il proverbio.
È occasionale, per quanto artefatta. E se artefatta limitata, limitativa. Si indulge ai romanzi del’infanzia e la giovinezza, che se si scrivono evidentemente sono in domanda, hanno lettori, perché l’infanzia si vuole età “felice”, a meno di traumi, essendo afasica. E qui la memoria si vuole traditrice – delatrice, opportunista. Si fa l’infanzia età felice, di solito, per il gioco che è ne è prerogativa espressiva. E la non memorizzazione, l’assenza di un meccanismo regolatorio, afflittivo, se on nei limiti della ripetizione, mentre è l’età della schiavitù – della dipendenza totale, che può essere felice (risolta, remissiva).

No – È più facile del sì. Sospende e allinea, non scompiglia, e non impegna. Per questo è la trincea della burocrazia, che di fatto è una bura-no. Iosif Brodskij ne fa in “Una stanza e mezzo” (“Fuga d a Bisanzio”), il perno del sistema sovietico: la conformità di ogni decisione, dall’alto al basso e bassissimo con al volontà del sistema, la quale, essendo per natura arcana, viene onorata con lo stallo, col diniego. Probabilmente per la tensione al minimo sforzo, alla riduzione dell’efficienza\produttività al minimo vitale – per Brodskij perché “è sempre più facile dare una struttura alla disumanità”.

Paternità - Molte creature senza padre vivono, esseri che le madri non hanno concepito per amore, non del padre. E già le donne figliano senza fertilizzarsi, nel grembo altrui – è l’utopia, la riproduzione senza la produzione. Analogo artificio si troverà per gli uomini, un utero artificiale. Casanova lo presagì, che diceva: “Una delle prove dell’ateismo è che, se Dio ci fosse stato, non avrebbe creato la donna”.

Religione – “Tutte le religioni sono una” è una serie di incisioni di William Blake, 1788, ma sono anche un testo vero per ciò che dice. Anche se non è quello che Blake intendeva. Per Blake solo il Genio Poetico è una religione – l’immaginazione. La religione teologica diceva invece Mentre il contrario è più vero: l’immaginazione è individuale e divisiva, la religione invece unisce: la credenza religiosa, la fede, è una.

Rivoluzione - Non una è riuscita. E se dura svanisce: le rivoluzioni finiscono nell’ordine - l’ordine, come la morte, riemerge.
Concettualmente, invece, le rivoluzioni vanno come le nascite, che sono numerose e varie.

Spazio – “Se c’è nello spazio un aspetto infinito esso non sta nell’estensione, bensì nella riduzione. Se non altro perché la riduzione dello spazio, stranamente, ha una maggiore coerenza. È meglio organizzata e assume più nomi: una cella, un cesso, una tomba. Le vaste distese sono capaci soltanto di accennare un gran gesto” – Iosif Brodskij “In una stanza e mezzo” (In “Fuga da Bisanzio”, p. 193).

Teatro – È poco teatrale, rispetto al cinema, e quasi intimista.  La morte per esempio evoca nella forma prevalente del suicidio - Philip Roth ha in “L’umiliazione” ha un elenco di una pagina di suicidi in drammi celebri, dall’“Antigone” e l’“Edipo Re”. Che invece non è tema filmico: il suicidio al cinema non viene bene - il cinema coltiva l’assassinio, lo ha imposto, poi anche alla tv.
Il cinema è più teatrale, il teatro più intimista. Il cinema è estroverso, violento, il teatro malgrado tutto introspettivo – anche Macbeth, o Re Lear (gli “elisabettiani” che lo facevano grondare di sangue in scena  sono stati un tentativo fallito).   


zeulig@antiit.eu

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