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mercoledì 9 gennaio 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (385)

Giuseppe Leuzzi


A Cicala, un migliaio di abitanti ai piedi della Sila Piccola, un’esperienza d’integrazione diffusa della demenza senile è in atto da otto mesi. Applica un metodo nuovo, la Terapia espressiva corporea integrata, ideata da Elena Sodano, psicoterapeuta di Catanzaro. Punta a prolungare la qualità della vita attraverso una coabitazione autonoma e integrata insieme: invece delle pasticche un ambiente aperto, tra gente più o meno della stessa età e mobilità, e di interlocutori-fornitori addestrati con un “tirocinio comportamentale” a facilitare il dialogo, dal parroco al barista.
È l’applicazione di una ideazione della londinese Alzheimer Society, organizzare comunità Dementia Friendly, avviata in Italia dalla Federazione Nazionale Alzheimer, senza soldi pubblici. Cicala fa da pilota, associando  la Community londinese al metodo Teci di Elena Sodano. Se ne parla (poco) solo perché lo hanno scoperto in Norvegia: una giornalista, Charlotte Nagel, ci ha fatto un reportage per le organizzazioni norvegesi che si occupano dell’invecchiamento.

Narra il “Repertorio dei matti della città di Roma”: “Di una si diceva ch’era nata ad Alessandria d’Egitto, ma in realtà era nata a Roma, e in Egitto c’era andata sua madre che l’aveva abbandonata subito dopo averla partorita, figlia di padre ignoto.  Lei era andata in Egitto a cercarla, la madre, ma era tornata a Roma perché aveva capito che lei non la voleva  tra i piedi. Aveva provato a rintracciare il padre, e aveva scoperto che era calabrese e che faceva di cognome Del Duce. Allora aveva rinunciato ad incontrarlo: «Non voglio essere ricordata come la figlia del Duce»”. Era Anna Magnani.

Del cinema, “arte tipica del nostro tempo tendenzioso”, Alvaro nota che si esercita a “fare a meno della verità” al Sud: “In America, quando vuole osare, (il cinema) si sfoga sulle regioni del Sud: l’esotismo nazionale. Se non esistessero i meridionali, di tutti i paesi, di tutte le latitudini nessuna esclusa, i cineasti non avrebbero la corda sociale da toccare col minimo di scandalo, la «denunzia» come si dice in gergo”.

Il Sud è però l’unico momento di verità per il cinema, sempre secondo Alvaro: “Appena il cinema tocca qualcosa di meno indifeso e pittoresco, entra nel suo vero regno che è la falsità e la convenzione”.

La mafia e la hubris
La forza in Omero non è permanente. Gli eroi soccombono spesso, anche per mano di non eroi, anche senza inganno. Solo nelle mafie benché sia sopravvenuto un Dio di giustizia, la forza è permanente: programmata. Anche attraverso le distruzioni reciproche, che sono una forma di risorgenza.
La forza in Omero è hubris. La hubris, violenza incontrollata, non è tratta da usanza germanica, anche nella forma della faida. Ed è del tutto inconsistente con la mafia, che è invece calcolo e dissimulazione. C’è la hubris, la violenza incontrollata, accanto alla mafia, a Pesaro, a Duisburg. È una possessione malefica.
Nasce caratteristica di Achille, l’“eroe” dell’“Iliade”, “l’Eccellente” in Omero. Che è cattivissimo: infierisce sul cadavere di Ettore per giorni, fino a che Giove in persona non deve scendere dallOlimpo per bloccarlo. È il  furor latino. La “furia francese” dei predoni di Carlo VIII. Che accomuna anche il berserkir  delle saghe teutoniche. Una forza bruta, che in antico si faceva accendere negli uomini dagli dei, per ghiribizzo e per mettere alla prova, e poi dagli stessi bloccata – cioè inspiegabilmente.

Gli scrittori di contrada
Una curiosa pagina, di avocazione e insieme di ripulsa, ha Corrado Alvaro, solido comparatista delle cultura europee e extra,  sulle letterature locali, recensendo il film di Duvivier sulla “leggenda di Parigi”, “Sotto i tetti di Parigi” – una prosa del 1952, ora in C.A., “Al cinema”, 200. Di elogio in particolare per Napoli, che ha saputo passare “più facilmente di ogni altra nostra (leggenda metropolitana, n.d.r.) dal dialetto alla lingua letteraria e alla letteratura”. Che ha la leggenda “la più densa e ricca di motivi, quella che ha più mistero di vita urbana”. Mentre “quella di Roma è rimasta appesa tra Belli e D’Annunzio: in quello i preti, in questo le donne”. Abbattendo lo steccato, tutto italiano, della letteratura alta e bassa: “Il pregiudizio della letteratura regionale o provinciale come mondo limitato in confronto a quello borghese e cosmopolita, alle ambizioni di una letteratura formalmente nazionale, ha impedito più di uno sviluppo tra noi, dove i letterati temono l’appellativo, soltanto italiano e della letteratura italiana, di provinciale. Non si capisce perché debba esservi una gerarchia tra scrittori metropolitani e scrittori di contrada. E c’è voluta la voga degli scrittori americani perché questa distinzione fosse attenuata. Non si capisce perché parlare di Milano o di Roma sia letteratura cosmopolita, e parlare di Sicilia sia regionale”.
Ma poi, subito dopo, trova il localismo limitato e limitante – senza secondi pensieri in riguardo all’Aspromonte? Napoli si è presto “esaurita” – “tutto quello che è nato come espressione d Napoli, la canzonetta, il frizzo, la tradizione comica, il facile sentimentalismo, il realismo e la retorica”. Di Giacomo ne ha fatto la summa, e dopo non c’è più nulla: “I dialetti si esauriscono presto in un solo poeta”, Porta per Milano, Belli per Roma, Di Giacomo, eccetera. E Alvaro, viene ovvio aggiungere, “Gente in Aspromonte”, per la Calabria.

L’odio-di-sé
L’odio-di-sé è concetto e pratica tipicamente tedeschi – e in ambito germanico, più in particolare,  dell’ebraismo prima di Hitler. Ma ora, da qualche tempo, unicamente italiano. Non c’è altrove, viaggiando in Europa o in America, un tasso di autodenigrazione così ricorrente, anzi non c’è affatto, specie con gli stranieri. L’autocritica che sconfina nell’autofustigazione e l’autodistruzione. Così comune in Italia di tutto ciò che è italiano, che si tratti dell’automobile o del parco in montagna, perfino del pelato e del gelato.
Si dice con sempre maggiore convinzione, e sincero disprezzo, “all’italiana”, per dire inventivo e trucibaldo, approssimato, malfatto, furbo, traditore. Di matrimoni, commedie, risate, calcio, trucchi, inganni, trappole promesse, accordi, impegni, leggi, e piatti di cucina..
È in questo odio di-sé che tutto al Sud è deleterio. Il Sud è giusto da sopportare, la compassione è una virtù, e poi non bisogna cadere nel razzismo. Ma non più di tanto. E ciò è vero per gli stessi meridionali.
Questo del Sud è un vezzo culturale, ormai storicizzato col e dal Risorgimento. Introiettato, dopo sei o sette generazioni, a realtà indelebile. In altra cultura politica si direbbe il complesso d’inferiorità iniettato per un fine, in una strategia di sottomissione. Come togliere i denti a una tigre. Peggio, educare alla subordinazione, partendo dalla cancellazione di sé.
Si dice del meridionale che manca d’iniziativa. E sarà così, poiché i meridionali se lo dicono, se uno legge i loro giornali, ed evidentemente ci credono fermi. Salvo in altro ambiente – il meridionale è per questo stesso fatto nomadico - competere e anche vincere.  

Le Calabrie
Usa il plurale per la Calabria oggi propriamente detta, per la vecchia suddivisione amministrativa, del regno borbonico e subito dopo. Ma piace ricordare il toponimo al plurale per lo scambio che c’è stato col Salento, la primitiva Calabria. Toponimo greco – molto comune tuttora in Grecia, anche diminutivo, Calabretto-Calabritto - che vuole dire abbondanza. Agli occhi dei primi navigatori greci, ma anche per la natura: l’ampiezza dei terreni coltivabili, la feracità – una ragazza di pasticceria a Patrasso, che era stata in Italia, richiesta di un’impressione disse, dopo averci riflettuto: “L’Italia è grande”. Per l’abbondanza di ulivi e vigneti, che in Grecia prosperano ma in plaghe ridotte, al confronto minuscole.  
La Calabria era ricca e il Salento povero negli anni 1950. Quando i commercianti di Gallipoli (grossisti, mediatori), protagonisti del vecchio cabotaggio, il trasporto via mare lungo la costa, giravano per la piana di Gioia Tauro per incettare la materia prima, l’olio d’oliva, da rivendere ai raffinatori del Nord. Mentre il bracciante salentino vi emigrava per dinverno nelle annate piene, per “fare la stagione” da operaio nei frantoi – per supplire il bracciante-operaio locale, già emigrato al Nord, nella Liguria di Ponente sopra Savona-Imperia e a ridosso delle Alpi Marittime, in Piemonte e in Provenza. Il Salento che oggi è un capolavoro, nel recupero e la salvaguardia dell’ambiente e dei beni culturali, nella pulizia dell’aria e dell’acqua, e anche nella produzione di reddito. Mentre la Calabria arranca ai livelli bassi delle classifiche nazionali del benessere – la ricchissima plaga di Gioia Tauro probabilmente alle ultime posizioni. Sono bastati pochi anni di politica avveduta nel Salento, con D’Alema, Gennaro Acquaviva, Buttiglione. Di risorse. Spese. Non male – non del tutto.

Nord e Sud normalizzati
Una Normale di Pisa a Napoli oltre che a Firenze? Sì, perché no, dà lustro e porta risorse. Ma quando i fondi, 50 milioni, il napoletano Di Maio li ha dati da spendere alla Federico II, l’università di Napoli, Pisa si è ribellata. Studenti e professori uniti nella lotta. Contro il direttore della stessa Normale, Vincenzo Barone, centauro partenopeo-pisano – rifiutato alla Normale ai diciott’anni si era iscritto alla Federico II.
Hanno protestato gli studenti. In piazza. Con i cartelloni. E gli accademici. Che oggi si sono riuniti per silurare Barone, il “napoletano”. Si può apprezzare, come manifestazione di verità.
Si era creata confusione col gialloverde di maggio. Col leghista Salvini senatore della Calabria. E col partito siculo-napoletano di Grillo buffoncello, che vuole rivoluzionare l’assistenzialismo.
Il “forza Vesuvio” della Normale fa il paio con la congiura fiorentina contro Schiavone, altro centauro tosco-partenopeo, altro reo di commistione con Napoli. Nel suo caso con un Sum, Istituto Italiano di Scienze Umane, dentro il quale Firenze e Napoli formavano “dottorandi europei” con i centri di eccellenza di Parigi, Londra e Francoforte.
Il leghista professore Miglio confessava che passando l’Appennino a Firenze si sentiva all’estero. Ma il Nord si è allargato.


leuzzi@antiit.eu

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