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giovedì 10 gennaio 2019

Il sacro in allegria col profano


Un libro del 2000 presto introvabile, benché per ogni aspetto notevole e forse un capolavoro – come ogni opera, musicale e musicologico, di De Simone, di cui Napoli purtropo trascura la qualità sempre eccelsa, di studi e composizioni  - compreso, purtroppo, Peppe Barra, che la “Cantata dei pastori” da De Simone resuscitata riprende a ogni Natale. Profusamente e bene illustrato da Gennaro Vallifuoco. La ricostituzione e l’uso, teatrale e quotidiano, miracolosi di un linguaggio misto di italiano (toscano) e napoletano (popolare).  Introdotti da un saggio avvincente sulla genesi e la trasformazione dell’opera, nel quadro della teatralità napoletana – correggendo anche alcune conclusioni di Croce, per documenti emersi successivamente. Firmata con una lunga colonna di anagrammi sull’autore, da “Demostene Erborio” a “Sodomito ben erbe”, a sottolineare la giocosa creatività della ricostituzione. E seguita da una silloge di testi in tema, di Edoardo Boutet, Croce, Simoni, Gigli, Lorenzo Minervini.
Croce ricorda “il siciliano Andrea Perrucci” nel 1699, l’anno stesso della “Cantata dei pastori”, per “la più compiuta trattazione della commedia dell’arte nel suo libro  «Dell’arte rappresentativa meditata e all’improvviso»”. Il titolo originario della cantata, sotto lo pseudonimo di “Casimiro Ruggiero Ugone”, era “Il Vero Lune tra le ombre ossia la Nascita del Verbo umanato”.
Croce ricorda anche, ne “I teatri di Napoli”, che il dramma è stato “ritualmente rappresentato la notte di Natale in parecchi teatri di Napoli dei più popolari”. Lui steso ricorda di averlo ascoltatao “al Mercadante e alla Partenope in via Foria, alla Fenice in piazza Municipio e al san Ferdinando a Pontenuovo”. E ne fa una lunga sintesi. Pur avvertendo che le rappresentazioni variavano di fatto l’una dall’altro – per una descrizione delle rappresentazioni rimandando a un articolo di F. Petriccione sul “Corriere della sera” di Milano nel 1941, il 23 dicembre, e al volume “Sua eccellenza San Carlino”, di E.Boutet, 1901.
Di suo Croce ricordava “La rappresentazione procedeva tra frequenti interruzioni, e motti, e dialoghi,che si ripercotevano dai palchi al proscenio ,per opera di curiosi venuti ad osservare il grottesco spettacolo, e di giovinastri, che facevano il chiasso. Ma nell’attenzione intensa di coloro che riempivano il lubbione (lombardo per loggione, n.d.r.) e le ultime file della platea, nei loro sforzi per ottenere il silenzio, nelle loro esclamazioni d’impazienza e di sdegno, era la protesta di una fantasia e di un sentimento conservatisi costanti nei secoli. E a me pareva di avere intorno la plebe napoletana del Seicento, che seguiva quei drammi ora con le lacrime agli occhi e compunta di devozione ora abbandonandosi e franche risate” con Stazzullo e Sarchiapone.
Roberto De Simone, La cantata dei pastori

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