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giovedì 28 febbraio 2019

Secondi pensieri - 378

zeulig


Conoscenza – “L’eccesso di conoscenza ci rende insicuri”, è tema brusco di Georg Groddeck, “Questione di donna”. Il dottor Groddeck aveva fama di taumaturgo e ciarlatano. E si esprime oracolare in questo suo primo saggio, “Questione di donna”. Ma gli argomenti ci sono: “Il mondo può vivere senza sapere, l’uomo può pensare senza la conoscenza. Essa è un pericolo per chi ha scoperto una nuova verità. Perché la verità non si può sapere, ma soltanto credere. E che cosa potrebbe essere più incredulo del sapere?”
Con la coda velenosa. “Il sapere è eternamente sterile. Soltanto il dubbio sparge a piene mani il seme della speranza nel cuore dell’uomo. Da esso scaturisce divina l’idea e si protende verso la luce…. Il conosciuto è inattaccabile. Il mondo muore, quando diventa sapiente”.

Galileo - Fu rivoluzionario per credere alla rivoluzione dei pianeti, per il resto era papalino. E qui era forse l’insidia per i suoi sofisticati accusatori: Galileo stava alle cose che vedeva. E coltivava l’eleganza: la misura e l’ordine nelle cose riflettono la loro verità.

Machiavelli aveva anticipato Galileo. Hobbes, che aveva tradotto Tucidide, e Grozio ne applicarono il metodo al corpo politico, Spinoza all’etica, Leibniz alla terza, o seconda, guerra di successione al trono di Polonia.

Leggere – “Il leggere e lo scrivere cancellano le differenze nel conoscere”, G. Groddeck, “Questione di donna” (“L’Impero Bizantino”).

Machiavelli – Se ne registra un imprevisto ritorno, in studi e “biografie” (Asor Rosa, Michele Ciliberto, Francesco Marchesi, altri), come antidoto all’antipolitica, che è il fondo del contemporaneo populismo. Come di un notaio della politica, della politica come scienza o arte. Come tale era stato vissuto nei secoli anche dagli anti-Machiavelli professi, da Federico I di Prussia a Carl Schmitt - per non dire dei “machiavellici” mascherati, da Carlo V a Mitterrand.
Asor Rosa, “Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta”, mette a confronto vantaggiosamente – ma ci vuole poco – Machiavelli con l’Italia di oggi, la sua Italia con quella che viviamo. Nulla di nuovo, ma in una prosa curiosamente poco machiavelliana, ispirata e quasi profetica. Ciliberto lo vuole fuori dall’“armonia rinascimentale”, uomo e pensatore delle disarmonie – dei conflitti, le tensioni, le sconfitte. Anche se era storico, e storico ferrato? Non ha interesse filologico e la storia dice ciclica. Ma inerte? No, immutabile come la natura umana, e come essa “accidentale”, di forme variegate. Un disincarnato, al contrario del Machiavelli corpo e spirito di Asor Rosa,  pessimista: si fa il bene per caso e per necessità. “Ragione e pazzia” Ciliberto intitola il suo studio, di un uomo e intellettuale che viene sulle ali di Lucrezio e Savonarola, e avvia “tangenze” con Giordano Bruno.
Machiavelli è un pretesto.

Machiavelli è l’uomo dei suoi anni. Compresi tra due date memorabili, 1492-1526, dalla morte del Magnifico - al cui omonimo Lorenzo II è dedicato il “Principe”, il Medici che lo ha bandito da Firenze dopo la Repubblica – al Sacco di Roma. Scanditi dalla “calata” funesta dei francesi di Carlo VIII e dall’invadenza ispanica, nefasta sotto ogni aspetto, allora e dopo. Allora, negli anni della “grande catastrofe”, Asor Rosa la registra, per i destini dell’Italia. Alla quale l’attività politica e le scritture di Machiavelli sempre si rapportano. Da intellettuale più che da uomo pratico o d’azione, conscio dei suoi limiti, ma non per questo meno appassionato.
Sa che lo Stato si edifica sulle masse, la forza è eversiva solo se ampia. E “non ci lasciano spostare un sasso”, constata col suo “compare” Vittori: l’intellettuale-massa è solo.

Il suo principe è un condottiero, uno che fatica, rischia ogni giorno la morte, e si esercita in accortezza, nella politica, gli affari, i matrimoni, per poi magari, quando ha conquistato una città o una signoria, perderla di colpo. Non per il fato, o la superiorità del nemico, ma per essere quello che è, un avventuriero. Uno cioè che vive la vita – oggi si direbbe: produce reddito. Anche il principe è solo, ma per essere senza masse.

Machiavelli viene, come Hobbes, da guerre endemiche, anche civili. E operò e scrisse per – a favore di – un “dovere di libertà”.
È, con Hobbes e Marx, un grande liberale realista. Un libertario cioè - il liberalismo conseguente è libertario. Allegro furioso del vivere libero ma realista, la virtù dice insieme golpe e lione, sa che il bene può giovarsi del male.
Gli svizzeri “godonsi”, spiegava a Vettori, “sanza distinctione alcuna di uomini, una libera libertà”. Sa che la libertà può essere suddita.
Esorcizzava il potere, non lo insediava o imponeva – restò inapplicato per questo. Non ne ha ricette, eccetto che la passione, o ideologia, repubblicana. Intraprese la costruzione d’un nuovo Stato a partire dal nulla, con la follia dell’utopista rivoluzionaria. Non ce la fece. Lui non era un capo, altri non ce n’erano - Cesare Borgia non era male, se matò mezza dozzina di tori selvaggi in una volta, ma è personaggio da western.

Il Nord popolava di dei, dove è “residuo di libertà e antiche virtù”, quei popoli non avendo potuto “pigliare i costumi di francesi, spagnoli, italiani, le quali nazioni sono la corruttela del mondo”. In quello che fu il posto delle utopie. A lungo fu il Nord posto di utopie, la mitica Thule scoperta da Pitea di Marsiglia, gli Iperborei, gli Atlantidi, un non luogo.

Non era machiavellico. Altrimenti avrebbe scritto sermoni edificanti, vite di santi – l’Aretino lo faceva, per infinocchiare il papa. Un “Antimachiavelli” è invece ottima opera machiavellica.
Fra gli anti-Machiavelli si segnala il Possevino, il gesuita di origini ebraiche che viaggiò molto per la Moscovia. Uno che, scoprì Puškin, “non aveva mai letto Machiavelli, lo criticava per sentito dire”.

Un concetto del machiavellismo è stato  elaborato negli anni 1960 dal Machiavelli Studies Center dell’università di Washington: del politico come stratega, la cui passione è “vedere” la storia nel suo farsi, non curandosene o lasciandone a altri la cura, malgrado l’attivismo, o l’attivismo della fantasia, con amici e corrispondenti.

Puritanesimo – Un puritano trova sempre un puritano più puritano di lui, è vecchia saggezza. Il puritanesimo è una forma di estremismo (fondamentalismo), non una serie di leggi né una scala di valori.

Storia – “Il mestiere dello storico è serissimo, patetico, inutile e terribile”, Sergio Luzzatto: “Quando si cerca di farlo con serietà  e metodo la posta è alta.  Ma la storia non è maestra di nulla, e lo storico, fra le tante cose che non riesce a fare, non può medicare le ferite. È inutile perché non cambia il passato, e terribile perché insiste su queste lacerazioni”.

zeulig@antiit.eu

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