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martedì 25 giugno 2019

Il classico egualitario e sradicato

Che bisogno c’è di dire l’“Odissea” un classico? Perché Tayari Jones è afroamericana. E non collega l’“Odissea” a una cultura, benché l’America si voglia ancora Occidente, con cupole e campidogli, e le università, di cui lei ha buon ricordo, coltivino le humanities greco-romane, il pensiero, la storia, il diritto, la poesia. La sua “Odissea” è un libro di avventure, nel quale si è imbattuta come lettura obbligatoria a cinque anni - cacciata dalla maestra perché troppo precoce per la seconda elementare, fu salvata dalla scuola materna dal preside, che la confinò in una sorta di limbo per un anno, con Omero lettura obbligatoria, una riduzione in prosa per ragazzi.
L’autrice di “Un matrimonio americano” propone questa idea del classico: una lettura per tutti. Lo identifica come un museo, su scalinate di marmo che conducono a colonne monumentali, ma vorrebbe – immagina, non costa – che fossero “distribuiti in giro per il mondo, alla ricerca del proprio destino tra i popoli della terra, avvolti in anonimi fogli di carta da pacchi, senza alcun riferimento storico o letterario”. Il “classic” sradicato insomma, Odisseo come Robinson Crusoe.
C’era una volta la cultura che si voleva tradizione e radici, storia, filologia, che ora si riduce a curiosità. E ringraziare, la lettura si potrebbe benissimo limitare al bestseller. O a facebook, instagram, whattpad. Dopo la scuola, certo, per tenere i bambini mentre i genitori lavorano, con un programma di alfabetizzazione, minimo.  
Tayari Jones, Perché l’Odissea è il mio classico, Festival Letterature di Massenzio

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