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venerdì 28 giugno 2019

C’è del genio nella follia


Una mostra documentaria sui manicomi (Teramo, Mombello, Maggiano – quello diretto da Mario Tobino, numen loci, che molto ne scrisse) e rappresentativa della follia nelle arti figurative. Con molte opere, soprattutto toscane (la mostra si vuole itinerante, e in ogni luogo verrà “localizzata”), una larga presenza di Ligabue e Pietro Ghizzardi, consentita dalla collaborazione col Centro Studi Antonio Ligabue di Parma, e esemplari di Bacon, Silvestro Lega (“L’adolescente”, con l’“apribocca”, strumento terapeutico di tortura), Fausto Pirandello. E un affresco a olio lungo oltre dieci metri di Enrico Robusti, altro esponente parmigiano dell’arte borderline, caricaturista e illustratore. Qui e lì sempre menzionando naturalmente Van Gogh.
La follia nell’arte non è tema nuovo. Che però non si si indaga a fondo, neanche qui - la mostra si limita a rappresentare. Specialmente carente è l’analisi in poesia, dove la follia registra casi eccelsi di resa, da Hölderlin a Alda Merini. Come se le parole venissero dall’inconscio, che la follia libera.
Una mostra che è un impegno. Invasiva e non catartica. Se non per il lato umanitario della questione – il trattamento manicomiale sembra perfino inconcepibile. Questa volta Sgarbi non libera ma, quasi, aggredisce. Se ne fa il percorso con un senso di colpa quasi metafisico, inconoscibile e ineliminabile. O della miseria della condizione umana.
Ma Sgarbi non è di fatto il curatore - della mostra sembra qui e lì una sorta di patrono. Il lavoro è di Sara Pallavicini, Giovanni Lettini e Stefano Morelli.
Vittorio Sgarbi (a cura di), Museo della follia, Lucca, ex Cavallerizza

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