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sabato 14 marzo 2020

Secondi pensieri - 412

zeulig

Appartenenza - Il “Corriere della sera” intervista oggi due italiani a Londra, la giornalista Bonetti e il calciatore Ogbonna, sugli effetti del coronavirus, dopo l’annuncio del governo che non farà nulla per contrastarlo. Bonetti, milanese, giornalista del gruppo “QN”, vive da 25 anni a Londra, dove ha studiato, e si sente inglese: “I britannici non sono emotivi come noi, vogliono dimostrare di mantenere la calma” - più calma degli italiani nel disastro? Ogbonna, nato a Cassino da genitori nigeriani, un gigante da un metro e novanta, segue l’Italia in tv, si preoccupa dell’Italia, sa tutto dell’Italia. E parla di “loro” e “noi”. L’appartenenza è di sentimenti – sensibilità. Non di nascita, o  poco. Non di cultura, che si può rifiutare e si può accettare.

Guerra – Si celebra a ondate, perché evidentemente smentita dai fatti, la decadenza dell’America, dell’impero americano. Con più insistenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Contro la quale gli Stati Uniti erano stati l’Impero del Bene. E chi lo combatteva il Male: il socialismo, l’Urss, i nemici della democrazia e della libertà. Ideologia contro ideologia, è stato un modo nuovo di costruire gli imperi.
Poi si è contestato il “modello americano” – la pax americana, il modello dell’“imperialismo buono”. Pur riconoscendosi che gli Usa sono bene una democrazia. Non buona, ma la migliore che ci sia.
È il modulo ciclico della storia americana: l’indipendenza propria, e poi la guerra al Messico, agli indiani, alla Spagna - il diritto, sia esso pure democratico,  può essere molto imperiale. E la ferrovia a un dollaro l’ora sulla schiena degli emigrati. Poi non più: l’America non faceva più la guerra per gli schiavi o le noci moscate, le ha fatte per il Bene. L’imperialismo antimperialista, una novità.
È pure vero che non c’era niente da rubare in Vietnam. Che si è sempre potuto fare affari coi monopolisti yankee, qualcosa pagano – mentre è arduo con gli analoghi francesi, o tedeschi, benché uniti nell’Unione Europea. E che la globalizzazione, che ha portato la Cina in due decenni, e prossimamente anche l’India, a sfidare gli Stati Uniti, è invenzione e pratica americana – l’America l’ha imposta all’Europa e alla Wto, l’organizzazione mondiale del commercio.
E dunque? La debolezza, l’unica, degli Usa sarebbe la forza eccessiva. La debolezza dell’America è il dispendio militare. La guerra è un dinosauro che divora se stesso, prolifera inarrestabile: per tenere gli eserciti in attività, testare i nuovi materiali, esaurire quelli vecchi. La conquista armata essendo di per sé non utile.
La guerra è un costo. E i vantaggi del dopoguerra sono dubbi. Di tutte le origini del capitale la più ipotetica è la guerra. Come investimento non tira più di Henry Ford, o dei consumi di massa, e costa un’enormità.
Si giustifica forse, in termini di costi-benefici, la guerra per le materie prime, o per i mercati. Ma non la guerra senza più, la potenza: che s’impone inevitabile, ma non è conveniente. Nelle stesse guerre di uomini, nelle trincee e le imboscate, i piani folli si giustificano con la libertà, dell’espressione e del voto, e col benessere, ma questo sembra improbabile. Con la protezione della democrazia forse sì, del lavoro no. In termini imperiali ma anche nazionali. Una potenza come gli Stati Uniti, protetta dagli oceani, che distrugge il mondo perché dalle contee del Texas e dell’Idaho i suoi bifolchi s’immaginino di eleggere il loro presidente – di combattere il male nel mondo?
La strategia dell’attacco è scienza sottile, al fronte o agli scacchi, nove volte su dieci colpisce di ritorno. Una valutazione economica degli affari internazionali porta senz’altro alla pace.

Marx - Pensa come Napoleone più che come Hegel: semplifica la storia perché vuole farsene una. Rilancia, sul supporto di Hegel e della storia rivelazione, l’unicità della Rivoluzione francese nel senso della compattezza, e anzi della monoliticità. Che è come la Rivoluzione si presentò nel mondo, ma questo a opera di Napoleone, della conquista napoleonica.
La Rivoluzione fu episodica, si sa, e frammentata: mozioni confuse, assemblee vaganti, strane peripezie dei protagonisti, che sono tanti e nessuno, la violenza della plebe a Parigi, il silenzio del popolo in Francia, le restaurazioni. Ci furono semmai tante rivoluzioni, insieme e in successione. Napoleone ne fissò il nome, che non vuole dire nulla.

Natura - È un concetto, non la cosa. Un’utopia, una fantasia, un ricordo, oggi un progetto e una legge, molte leggi. Il tutto peraltro basato sula conservazione, sulla persistenza, mentre la cosa è caduca, “per natura”.
La permanenza lavoisieriana della natura è instabile. Forse metempsicotica, rigenerativa.

Nichilismo – Una forma estrema di libertinismo – disperato, un po’? Consequenziale.
È, può essere, solo morale, e al fondo – all’estremo – un free for all.

È ideologia e non filosofia, e ideologia in filigrana politica, un programma di azione.

Opinione pubblica – Ulrich Beck. “Conditio Humana”, 97, ha le “sfere pubbliche globali del rischio”, non rassicuranti e anzi minacciose, a differenza dell’opinione pubblica propriamente detta. Come fenomeno distintivo (divisivo) e irrazionale, in contrapposizione alla “sfera pubblica” (Öffentlichkeit) di Jürgen Habermas. La Öffentlichkeit “presuppone l’uguaglianza delle opportunità di partecipazione e l’obbligo di tutti al rispetto dei principi del discorso razionale”. Mentre “la sfera pubblica del pericolo si basa sulla non-volontarietà e possiede una connotazione emotiva ed esistenziale. Qui è il terrore a spezzare le corazze dell’anonimità e dell’indifferenza – anche se per i più l’immagine del terrore diventa essa stessa terrore”.
La riflessione di Beck era animata dal terrorismo, dagli tsunami, e dal collasso delle centrali nucleari di Chernobyl e Fukushima.   

Verità – È ipotetica, allusiva. Anche quando viene provata.
È il segreto del “giallo”, giudiziario e no. Anche del “noir”.

Virus - Si aspettava con il black-out elettrico, è arrivata col virus: la sospensione della vita attiva. Terapeutica? Traumatica nell’insieme, e più sul destino individuale, per la morte incombente. Senza difesa possibile – se non generica (la distanza, i lavaggi).
Un autogol del progresso: della mobilità, della produzione, della complessità. Della razionalità della storia, dell’autosufficienza.

zeulig@antiit.eu

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