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martedì 15 settembre 2020

Ma il fascismo è fascista, non è eterno

Alla prima pubblicazione in solitario della conferenza americana  di Eco, antiit.com dedicava questa lettura il 15 gennaio 2018:

Una conferenza-saggio molto echiana, sfarfallegiante, s’inventa anche l’Ur-fascismo, ma curiosamente superficiale, un assemblaggio di luoghi comuni. Gli studenti della Columbia cui Eco si indirizzava in origine, nel 1995, ne saranno rimasti abbagliati, capendoci poco. Si ripubblica come fosse una premonizione, specie in terra americana. Sulla base dell’elemento “sei” della trattazione, del fascismo come movimento piccolo borghese, di disadattati: “Nel nostro tempo in cui i vecchi ‘proletari’ stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il Fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio”.
Non è il solo ingrediente: sono quattordici. Un guazzabuglio. Senza, curiosamente, l’ingrediente principale e caratterizzante: la negazione della libertà d’opinione e politica. Il fascismo di Eco è nazionalista, con l’indotta xenofobia. Però anche “aristocratico”, “elitista”: “L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico”. E maschilista, machista. Proprio oggi che i capi dei movimento neo fascisti, in Italia, Francia, Germania (e la Birmania? e la Liberia? per dire dei Nobel per la pace) sono donne. Il quattordicesimo requisito del fascismo è la Neolingua, la lingua di legno – quella per la verità che Orwell prese di mira nel sovietismo. Ma oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto, l’insostenibile conformismo di una certa sinistra – da ultimo obamiana - per il resto guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice?
Tutto vero, ma anche tutto falso – dire, alla Eco, quasi la stessa cosa. La storia non si semplifica, l’Ur-Freud s’incazzerebbe. “L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti” è la conclusione. Vero anche questo. Ma bisogna vigilare con occhi liberi, senza paraocchi.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato pacifista.
La tradizione è l’elemento fondante e costituente del fascismo, spiega Eco agli studenti newyorchesi. Ma la tradizione di che cosa? Mussolini s’ingegnò di magnificare tutto dell’Italia, da Romolo e Remo a Mazzini, l’impero e le repubbliche, l’imperialismo e la resistenza, le città e le campagne, e i preti con Savonarola e Giordano Bruno. Hitler cancellò duemila anni di storia tedesca per rifarsi ai Nibelunghi. E le avanguardie, nella arti, nelle arti applicate (la pubblicità, per esempio: radio, slogan, manifesti, manifestazioni), l’architettura, l’industria, il mito della tecnica: i fascismi sono più tradizionalisti o più modernisti (sono l’una e l’altra cosa)? E poi: Chateaubriand non è certo fascista, neppure Joseph De Maistre a ben vedere, o Donoso Cortès: perché la tradizione sarebbe fascista – c’è più tradizionalista (colto medievista, professore, collezionista) di Eco? Il culto della guerra e della morte, il culto dell’azione, la rimozione dello Spirito sono più fascisti o più giovanili – per esempio nel terrorismo post-Sessantotto?  Il fascista è razzista per definizione – ma anche quando, come i fascisti italiani, ha il mal d’Africa?  Non tollera il disaccordo: il disaccordo è tradimento. Ma questo è avvenuto più a lungo, e più sanguinoso, nel Pci. “L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale”. A naso? E quanti fascisti ha conosciuto Eco personalmente?
Partendo da una domanda molto echiana, semplice – “tutto è fascismo”, ma che vorrà dire? - Eco si risponde subito alzando i paletti: è storia. E fa le differenze. “Il nazismo era decisamente anticristiano e neopagano”, con un testo sacro che era “un manifesto politico”, “Mein Kampf”. Allo stesso modo, “il Diamat (la versione ufficiale del marxismo sovietico) di Stalin era chiaramente materialista e ateo”. Due sistemi dottrinari, due dittature totalitarie. “Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia”. Poi, invece di dire che il fascismo in senso proprio è un fatto storico preciso, alcuni fatti storici, si perde nei suoi 14 attributi, direbbe Spinoza. Che di fatto sarebbero uno, e ben preciso: un sistema di potere non democratico. Eco diventato anche lui il tuttologo che disprezzava, professore di scienza politica, non sfugge nemmeno al tutto fascismo – fascista dice la New Age, che invece si voleva mite. E Ur- come radice, invece che preistoria? Se è eterno non è fascismo, non è politica. Rigirare le carte, invece, è nel suo piccolo fascismo.
La conferenza-saggio tenuta alla Columbia University di New York il 25 aprile 1995, per commemorare i cinquant’anni della Liberazione dell’Italia, fu pubblicata subito variamente: sulla “New York Review of Books” il 22 giugno, come “Ur-Fascism”, tradotta su “La Rivista dei Libri”, a luglio, col titolo “Totalitarismo fuzzy e ur-fascismo”, ripresa su “la Repubblica” (la seconda metà), il 2 luglio, infine nella raccolta “Cinque scritti morali”, 1999. Riesumata dalla “Nyrb” il 10 agosto 2016, contro Trump, per lo stesso motivo si riedita ora in italiano. Ma letta a distanza, isolatamente, è un centone di luoghi comuni, anche raffazzonato – con uno strano effetto di straniamento: come di un professore burlone, obbligato a tenere egli eterni studenti l’eterna lezione sull’eterno fascismo, nel 2018 come un secolo prima (e che secolo, dopo il 1918).
Umberto Eco, Il fascismo eterno, La Repubblica, gratuitamemnte col giornale

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